Quintessenza del design del mobile italiano, il divano è un prodotto che esprime artigianalità e capacità industriale. Emblema della casa borghese, è stato oggetto, soprattutto nella storia del secondo Novecento, di ricerca tipologica nei materiali, nella componibilità e nei modi di utilizzo. Negli anni Sessanta le case si riducono nelle dimensioni, gli stili di vita cambiano e, di conseguenza, il mercato chiede prodotti polifunzionali e variamente configurabili per rimodulare lo spazio. Architetti come Cini Boeri pensano a divani moderni che partono dalla persona, per un uso in totale autonomia. Aggiunge le ruote ai mobili, crea degli elementi che si possano combinare per creare zone living che si trasformano in letti per la notte, rivestiti da trapunte facili da lavare e da sostituire, all’insegna della praticità.
Altri designer, come Vico Magistretti, riflettono invece sulle modalità del sedersi: non più in posizione “da conversazione” ma anche semidistesi, con schienali che si inclinano per rilassarsi davanti alla tv, “nuovo focolare” della casa. La trasformazione degli elementi, così come l’incoraggiamento a sperimentare nuove forme di utilizzo e di occupazione della casa, sono istanze che pervadono tutti gli arredi del cosiddetto Radical Design italiano, che ha generato, con aziende come Gufram, Poltronova e il Centro Ricerche C&B (oggi B&B Italia), prodotti innovativi e long seller.
La modularità è un tema ricorrente nella progettazione del divano dagli anni Settanta, non solo perché mette l’utente al centro come soggetto attivo nella composizione del proprio spazio, ma anche perché il prodotto può crescere e integrarsi negli anni in base alle case e alle esigenze delle persone. Nascono così i grandi sistemi componibili, che ai moduli aggiungono anche terminali angolari, dormeuse, tavolini e braccioli multifunzionali, e che arrivano a contare perfino cinquanta elementi.