“Una vera meraviglia tecnica che proietta la città nel futuro”: così il 1° novembre 1964 sulle pagine del Corriere della sera Dino Buzzati celebra encomiasticamente l’inaugurazione della Metropolitana milanese. Il suo è un entusiasmo condiviso: la città intera saluta con orgogliosa euforia un’opera che ha richiesto sette anni di lavori intensi, con significativi investimenti economici e sacrifici, ma che fa di Milano una città capace di competere con le principali capitali europee.
La Metropolitana non è per Milano solo un esempio di funzionalità infrastrutturale e di esemplarità gestionale. Dietro c’è una visione chiara e lungimirante: creare un’infrastruttura capace non solo di migliorare la mobilità, ma anche di rappresentare un esempio di eccellenza in termini di design e funzionalità.
Quel giorno in galleria viaggiano venti convogli, ognuno composto da tre vagoni, che percorrono i 12,3 chilometri tra Lotto e Marelli in 27 minuti, trasportando da un capo all’altro della città una folla di visitatori fieri e ammirati. Per realizzarla ci sono volute 241mila tonnellate di cemento e 40.535 tonnellate di ferro; sono stati rimossi 3 milioni di metri cubi di terra, installati 52 chilometri di binari e 85 di tubature, realizzati 67mila metri quadrati di pavimentazioni in gomma e impegnate 2 milioni e 76mila giornate lavorative. Nei cantieri hanno lavorato 900 operai, cinque dei quali hanno perso la vita sul lavoro.
Finanziata interamente con investimenti locali, senza chiedere contributi statali, attraverso un prestito obbligazionario a cui i milanesi aderiscono in massa, la metropolitana è per Milano un simbolo di modernità e di progresso: è il segno tangibile di una città in movimento, che corre veloce, che crede in se stessa e nelle sue capacità progettuali e amministrative, che sventra il sottosuolo per ridurre il tempo di attraversamento dello spazio urbano.
Basta rivedere la scena ambientata in Piazza San Babila del film di Ermanno Olmi Il posto per verificare come durante i lavori iniziati ufficialmente il 12 giugno 1957 perfino una piazza centrale come San Babila fosse ridotta a un enorme buco da attraversare tramite provvisorie passarelle di legno. Ma la Metropolitana non è per Milano solo un esempio di funzionalità infrastrutturale e di esemplarità gestionale. Dietro c’è una visione chiara e lungimirante: creare un’infrastruttura capace non solo di migliorare la mobilità, ma anche di rappresentare un esempio di eccellenza in termini di design e funzionalità.
Il risultato complessivo è davvero eccezionale, tanto che la visione del design come strumento per migliorare la vita quotidiana messo in atto dal pool di progettisti formato da Albini-Helg-Piva e da Bob Noorda è diventata un modello per molte altre reti metropolitane nel mondo.
L’incarico di progettare le stazioni della Linea 1 (Rossa) e della Linea 2 (Verde) viene affidato – con scelta coraggiosa e a sua volta lungimirante – a un maestro come Franco Albini con la collaborazione di Franca Helg e Antonio Piva. Il loro lavoro si basa su principi di funzionalità e semplicità, utilizzando materiali innovativi per l’epoca come il Silipol, un composto di cemento e polvere di marmo. Le stazioni sono pensate come spazi pubblici accoglienti e ben organizzati, con elementi distintivi come i corrimani metallici curvati e le lastre di rivestimento colorate.
Le linee pulite e le forme funzionali riflettono una visione architettonica che privilegia l’estetica senza compromettere l’usabilità. Ogni dettaglio, dai pavimenti ai soffitti, è progettato con attenzione per garantire un ambiente sicuro, accogliente e visivamente moderno.
La straordinaria semplicità dell’intervento affida a pochi elementi di progetto il compito di rappresentare l’immagine di tutte le stazioni: il più celebre – una sorta di icona stilistica milanese – è l’elegante corrimano in metallo verniciato che, proseguendo senza soluzioni di continuità dalle scale alle testate dei parapetti, forma un motivo incurvato a P dallo straordinario effetto plastico.
A progettare la segnaletica viene chiamato invece il designer e grafico olandese Bob Noorda. Il suo approccio, basato sulla chiarezza e l’essenzialità, porta alla creazione di un sistema visivo che punta alla massima efficacia comunicativa con l’intento di facilitare intuitivamente l’orientamento degli utenti. A tale scopo Noorda progetta delle fasce colorate identificative delle linee: rosse per la linea 1 e verdi per la 2 (che verrà realizzata in tempi successivi) in cui inserisce i nomi delle stazioni. Le bande colorate vengono ripetute ogni 5 metri in modo da risultare visibili ai passeggeri di tutte le carrozze, anche quando il convoglio è in movimento.
La scritta bianca su fondo rosso viene studiata partendo dal carattere Helvetica su cui Noorda introduce adeguate modifiche ridisegnando i caratteri manualmente, in modo da favorirne la massima leggibilità per migliorare l’esperienza del viaggio per tutti gli utenti della Metropolitana, sia gli abitudinari che gli occasionali. Il risultato complessivo è davvero eccezionale, tanto che la visione del design come strumento per migliorare la vita quotidiana messo in atto dal pool di progettisti formato da Albini-Helg-Piva e da Bob Noorda è diventata un modello per molte altre reti metropolitane nel mondo.
La straordinaria semplicità dell’intervento affida a pochi elementi di progetto il compito di rappresentare l’immagine di tutte le stazioni: il più celebre – una sorta di icona stilistica milanese – è l’elegante corrimano in metallo verniciato che, proseguendo senza soluzioni di continuità dalle scale alle testate dei parapetti, forma un motivo incurvato a P dallo straordinario effetto plastico.
Non a caso, il progetto complessivo è stato insignito nel 1964 del Compasso d’Oro e ancora oggi, a sessant’anni esatti dall’inaugurazione, continua a essere un punto di riferimento per la cultura architettonica e un esempio insuperato di come il design e la comunicazione possano definire l’anima e non solo la pelle di un progetto architettonico audacemente innovativo.