Disegnare la maglia da calcio: i 10 kit che hanno creato il mito degli Europei

Design, ricerca e marketing. Le maglie da calcio sono sempre più protagoniste di un dialogo con l’arte e la tecnologia. Ripercorriamo la competizione attraverso quelle 10 che ne hanno segnato la storia.

di Lorenzo Ottone

Chi ha detto che le maglie da calcio siano fatte solo per il rettangolo verde? Da alcuni anni a questa parte i kit sono diventati terreno di sperimentazione per artisti e designer, complice anche il trend blokecore che li ha riscattati a pieno titolo come cardine dell’abbigliamento street. Se il mondo del pallone non ha perso occasione per incrementare e differenziare la produzione con una serie di edizioni limitate e collaborazioni, anche l'industria creativa – dalla musica all’arte, passando per la moda – ha iniziato a guardare alle maglie da calcio come nuove piattaforme espressive.

Lo racconta, in occasione degli Europei tedeschi di questa estate, Tops Off: A Century of Football Shirt Art, una mostra a Londra presso OOF, galleria sita entro lo stadio del Tottenham Hotspurs. In un percorso di oltre un secolo, ci è ricordato come arte e sport siano legati, addirittura da prima di quello che si possa immaginare. Lo dimostra una divisa per fini sportivi risalente al 1923 e disegnata da Varvara Stepanova, tra le fondatrici del movimento costruttivista russo. Il capo è un prozodezhda, crasi delle parole proizvodstvennaya (industriale) e odezhda (vestito), indumento dal taglio utilitario divenuto popolare nella Russia post-rivoluzionaria.

Il passato iconografico e il presente della ricerca materia sono in dialogo costante nelle divise da calcio, come per la nuova maglia Admiral del club semi-professionista Walthamstow FC dedicata a William Morris, che risiedeva e operava proprio nel quartiere a nord-est della capitale inglese. Ci sono poi le divise di Francia e Inghilterra che Christian Jeffrey usa come tele, e la serie di kit disegnati dall’artista Paolo Del Vecchio per la Squadra Diaspora, un team composto da italiani sparsi per il mondo che ad ogni gara indossa un nuovo design. Non manca l’interessante caso studio dell’AS Velasca, squadra dilettantistica fondata a Milano nel 2015 la cui identità ruota attorno all’arte e al design, non ai risultati, come suggerisce la celebre torre dei BBPR nello stemma.

Maglie forse non d’artista ma sicuramente da museo sono molte di quelle che hanno contribuito a tracciare la storia degli Europei di calcio, dal 1960 a oggi. Ne abbiamo selezionate dieci che hanno determinato importanti crocevia sia in ambito di design che di ricerca tecnologica.

Francia away (1960)

France away, 1960, replica di Toff. Courtesy Vintage Football club

Con poco più di sessant’anni alle spalle, gli Europei sono un torneo giovane rispetto ai Mondiali. Fino al 1980, sono spesso stati snobbati da molte importanti nazionali europee, disputandosi come torneo a 4 squadre con due semifinali secche, e relative finali per il primo-secondo posto e quella consolatoria tra terza e quarta. Addirittura, in caso di pareggio nella semifinale ai tempi supplementari la finalista era decisa dal lancio di una moneta, come successe all’Italia nell’Europeo domestico del 1968, che la vide poi finalista. 

A ospitare la prima edizione fu la Francia. Nonostante il glamour della Nouvelle Vague fosse alle porte, il design dei kit europei risentiva ancora dell'eredità del passato, con divise estive a maniche corte e profondi scolli a V (come quelle della Cecoslovacchia e dell’Unione Sovietica) in stile anni ‘50 e altre ancora in cotone spesso a maniche lunghe e colletto a polo, come quella dei Bleus. A spiccare in questo torneo è la divisa da trasferta con cui i francesi giocano il primo match di sempre nella storia degli Europei il 6 Luglio 1960 al Parco dei Principi: un design pulito, rosso, con calzoncini bianchi e calzettoni blu a ricreare il tricolore. A spiccare è il galletto oversized cucito sul petto, una scelta stilistica che Nike ha voluto riprendere e tributare proprio in occasione di Euro 2024.

Olanda home (1976)

Olanda home, Adidas, 1976. Courtesy The Antique Football

Per tutti gli anni ‘60 e primi ‘70 il cotone e la lanetta dominano la ricerca materica delle divise, che quasi sempre si presentano a maniche lunghe e girocollo. Le maggiori innovazioni arrivano dall’inglese Umbro, che sperimenta sia sul piano del marketing che su quello tessile. Due esempi su tutti: l’introduzione per la prima volta in assoluto nel Mondiale del ‘66 di un capospalla per l’ingresso in campo della nazionale inglese e il brevetto della tecnologia Aertex, un tessuto traforato per performare meglio durante la Coppa del Mondo messicana del 1970. 

Con la metà degli anni ‘70 è però l’Adidas a prendere la ribalta, grazie a una capace mossa di branding. Euro ‘76 è il primo europeo in cui le celebri tre strisce appaiono sulle maniche e sui calzoncini delle uniformi, sebbene il logo del trifoglio non fosse ancora consentito.  Tra queste divise, c’è quella dell’Olanda che non andrà oltre le semifinali, persa contro i vincitori della Cecoslovacchia, anch’essi in Adidas.

A rendere ancora più riconoscibile l’altrimenti essenziale kit maniche corte degli Oranges, è la maglia del numero 14 Johan Cruyff: un interessante caso studio di design involontario. A causa del contratto di esclusiva con i rivali di Puma, che gli fornivano le scarpe, alla stella dell’Ajax fu imposto di rimuovere una striscia dal kit, che così appariva come un’imitazione del noto marchio tedesco. Uno dei primissimi casi di interferenza tra calcio e marketing nel calcio europeo.

Inghilterra home (1980)

England home, Admiral, 1980. Courtesy Retro Soccer Kit

Oltre ad Adidas e Puma, per tutta la seconda metà degli anni ‘70 e i primi ‘80 a portare innovazioni nell’ambito del kit design c’è l’inglese Admiral. Nata come produttrice di divise sportive per la Royal Navy e poi specializzatasi nel rugby, a partire dai primi anni ‘70 – grazie alla spinta di Don Revie, vulcanico allenatore del Leeds United – Admiral si afferma anche nel calcio, diventando per tutto il decennio e l’inizio del successivo uno dei più forti competitor di Umbro. Negli stessi anni Admiral si espande in America, dove fornendo i kiti al nascente campionato NASL capisce la necessità del calcio per una spettacolarizzazione che passa necessariamente anche dal design e dal marketing, come l’introduzione dei nomi sulle maglie.

Oltre all’introduzione nel 1976 per la nazionale gallese del rivoluzionario design con le ‘bretelle’, quattro anni più tardi Admiral scombina le carte in tavola con quello che con molta probabilità è il kit più amato dai tifosi della nazionale inglese. Un carrè rossoblù sul petto che sovverte completamente sia a livello di proporzioni cromatiche che geometriche l’altrimenti sobria e conservatrice divisa inglese, a cui la stessa Admiral aveva già introdotto i colori secondari nel 1974, interrompendo la storica collaborazione tra Umbro e i Tre Leoni. Anche sul piano materico, con l’arrivo degli ‘80, i tessuti sintetici (come il raso) prendono il sopravvento, contribuendo a divise più leggere e lucide all’aspetto. Soprattutto, è proprio con questo kit che inizia a diffondersi l’uso massiccio delle replica kit da parte dei tifosi anche sugli spalti, innovazione di cui molti tifosi inglesi si faranno ambasciatori nei successivi mondiali di Spagna ‘82.

Belgio away (1984), (2016), (2024)

Belgio away, Adidas, 1984. Courtesy Football Kit Archive

Il Belgio, oltre a una tradizione in ambito di ciclismo e fumetti, ne ha anche una in merito a divise da trasferta particolarmente stimolanti, che spesso hanno usato il design per celebrare la sua tradizione culturale. A partire da Euro 1984, con un kit Adidas unico nel suo genere, scandito da un motivo a losanga sul petto. Un pattern che sembra volere strizzare l’occhio ai maglioni da golf che proprio in quegli anni stavano spopolando tra i Casual, i più stilosi e facinorosi tifosi britannici, amanti dello sportswear europeo di lusso.

Nell’ultimo decennio, sempre Adidas, ha fornito il Belgio con due altri kit da trasferta particolarmente innovativi: prima nel 2016 quello celeste con fascia orizzontale giallo-nero-rossa volto a celebrare la divisa da ciclismo nazionale, e poi quello per Euro 2024 che riprende il costume di Tin Tin, celebre eroe dei fumetti belga nato dalla matita del fumettista Hergè.

Germania Ovest home (1988)

Nel corso degli anni ‘80 i loghi degli sponsor tecnici vengono infine ammessi sulle divise, facendo presto dimenticare gli anni in cui alle nazionali griffate Adidas capitava di dover occultare il trifoglio con delle toppe, come successo al Belgio a Euro ‘80. Inizia così a diventare sempre più necessario rendere riconoscibile uno sponsor tecnico tramite l’associazione a determinati design. Compito che viene declinato con lo sviluppo di template stagionali. Dapprima elemento che sembra portare una ventata di varietà e innovazione al mondo del calcio, con il tempo sono spesso stati criticati di porre il branding dinanzi alla creatività e alla tradizione.

Impossibile non notare l’influenza degli studi geometrici della tradizione tedesca e della Bauhaus sull’ufficio stile del marchio di Adi Dassler, che per tutto il decennio crea template in cui le tre strisce vengono costantemente declinate o destrutturate in soluzioni nuove, ora più implicite ora meno.

Germania Ovest home, Adidas, 1988. Courtesy Football Shirt Culture

Prima, sul finire dei ‘70, le strisce diventano opzioni di combinazioni tricolori declinabili al lessico vessillologico delle nazionali vestite, poi diventano (complice anche l’influenza della White Line da tennis di Fila sul lifestyle) sottili a mo’ di gessato, ora proposte in verticale, ora in orizzontale sullo stomaco (Francia, Euro ‘84), ora in diagonale – un brevetto utilizzato da Portogallo e Jugoslavia sempre a Euro ‘84 e poi riportato in luce dagli archivi per ispirare il kit della Germania di Euro 2012. 

Ma c’è anche la volontà, come già insegnava Admiral, di intendere le divise come tele di elementi in dialogo, in cui maglia e calzoncini partecipano a restituire una visione d’insieme. Ecco, dunque, le tre strisce oversized che, in diagonale, compongono una banda interrotta di cui vediamo solo gli estremi sulla spalla sinistra e sul lembo destro dei pantaloncini, come nell’innovativo kit della Svezia a Euro ‘92.

A fare la storia è, però, soprattutto la maglia che la Germania Ovest indossa a Euro ‘88 e con cui solleverà anche la Coppa del Mondo a Italia ‘90. Un design apparentemente essenziale, con collo wrap-up, sul cui petto però si sviluppa un motivo geometrico tricolore, quasi un’allusione al Muro di Berlino che a breve sarebbe crollato. Un crocevia tra il presente e il passato della Germania, tra il mondo analogico e quello digitale, una maglia percepita oggi come simbolo del calcio retrò ma che seppe anticipare quello che sarebbe venuto, in ambito di marketing e design. Come avrebbe fatto di lì a pochi mesi Ciao, la mascotte delle notti magiche italiane. 

Unione Sovietica home (1988)

Unione Sovietica home, Adidas, 1988. Courtesy Football Shirt Culture

Euro ‘88 è stato un torneo in cui l’Adidas ha ribadito la sua visione creativa anche con un altro kit passato alla storia: quello dell’Unione Sovietica. Il template dalla forte connotazione geometrica (anche adottato dall’Olanda) sembra ricordare le trame delle tele cubiste, salvo poi acquisire una dimensiona quasi costruttivista e marcatamente sovietica nell’applicazione della scritta CCCP sul petto, qui per l’ultima volta ad un Europeo di calcio.

Danimarca home + portiere (1992)

Danimarca goalkeeper, Hummel, 1992. Courtesy Football Headlines

Una delle divise simbolo degli anni ‘90 e di eccessi volumetrici e geometrici del decennio è quella con cui la Danimarca si impone a Euro ‘92. Il kit è della Hummel, che riprende e reinterpreta certe lezioni di Adidas con un design dalle linee spezzate. Un processo analogo a quello con cui ai Mondiali dell’86 aveva proposto un design tanto derivativo quanto unico nel suo genere: una maglia metà pinstripe e metà colour block.

A contribuire ancora di più al successo iconografico del kit di Euro ‘92 è anche la divisa del portiere Schmeichel, un gradiente iridato inserito in un reticolato nero che richiama le luci strobo di un rave acid house di Manchester, città in cui gioca il danese (sponda United). Tanto amata quanto criticata, la maglia rimane lo stilema per eccellenza del gusto che per tutto il decennio caratterizza le divise degli estremi difensori.

Croazia home (1996)

Croazia home, Lotto, 1996. Courtesy Football Kit Archive

Alla proclamazione dell'indipendenza della Croazia nel 1991 l’artista e designer Miroslav Šutej viene incaricato di concepire la bandiera, il gonfalone e le banconote del neonato stato.

La sahovnica, ovvero la scacchiera che definisce lo scudo nazionale, verrà di conseguenza adottata come pattern per la maglia della nazionale. Euro ‘96 è così la prima competizione internazionale in cui appare la divisa, in questo caso prodotta da Lotto.

Italia home (2000)

Italia, Kappa, 2000. Courtesy Classic Football Shirts

L’inizio millennio rappresenta nel calcio uno dei brevetti che più ne avrebbero caratterizzato tanto l’estetica quanto la giocabilità negli anni a venire. Kappa introduce la sua linea Kombat, design essenziali, slim fit, girocollo e dalle maniche tubolari, una seconda pelle, anzi un’armatura. Non a casa la Kappa per promuovere il lancio della linea realizza un editoriale con un calciatore azzurro con un elmo medievale. 

Chiave al concepimento della tecnologia è uno studio del marchio piemontese sulle fibre elastiche della divisa, per agevolare la mobilità dei giocatori e arginare il problema della trattenute nelle azioni e sui calci piazzati causate dall’eccesso di materiale delle maglie baggy del decennio precedente. Le maglie, allargate fino a estensioni prima mai viste, diventano così una cifra iconografica del calcio del nuovo millennio. 

Come spiegò il suo designer Emanuele Ostini: "Quando il difensore afferra la maglia di Inzaghi, la maglia si allunga e l'arbitro lo vede. Si allunga di oltre 40 centimetri rispetto al normale, e con 40 centimetri in più si ha la possibilità di segnare più gol!".

Il modello più rappresentativo è quello che gli Azzurri indossano a Euro 2000, un design che ricorda quello del primo Europeo vinto dalla nazionale italiana nel 1968.

Portogallo home (2004)

Portogallo home, Nike, 2004. Courtesy Football Kit Archive

A inizio anni Duemila, Nike si impone come voce di primo rilievo anche in ambito calcistico. Ne è complice il successo della linea Total 90 che si affaccia proprio in occasione degli Europei del 2004. Nike gioca tutto su testimonial d’eccezione come Ronaldo e Luis Figo, ma soprattutto su design che possono essere adottati, senza soluzione di continuità, dalla sella di un booster al campo da gioco, sia esso quello degli Europei o di cemento sotto casa. Non a caso sono gli anni, fortunatissimi, delle campagne Joga Bonito e di FIFA Street Football.

La linea Total 90 è definita da un design lineare in cui un ricamo sinuoso, che dalle spalle arriva fino al fondo, inquadra e avvolge stemma e sponsor tecnico. A fare la differenza sulle divise delle selezioni internazionali è però il cerchio sul fronte in cui è collocato il numero di maglia. Una scelta semplice ma innovativa che trova negli equilibri cromatici, su tutti quello di Portogallo e Croazia, il suo punto di forza. 

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