Se negli anni le fashion week ci hanno abituato a città trasformate in grandi passerelle a cielo aperto, oggi la Design Week di Milano non è certo da meno.
In un momento di ibridazione massima tra discipline e dalle infinite stratificazioni culturali le strade diventano cornucopia di correnti stilistiche che rispecchiano la molteplicità dei progetti esposti tra Salone e Fuorisalone. Parafrasando Gillo Dorfles, nel binomio moda-modi oggi sono i secondi a tenere banco.
La moda utilitaria
Tra i filoni intercettati dalle fotografie di Matteo Valle emerge uno stile che insegue l’utilitario, confermando un certo amore della comunità del design per il workwear e le giacche da lavoro. Un cenno alla moda boxy e materica dei bleu de travail degli artisti parigini tra i due conflitti mondiali, ma altresì dolceamara e implicita constatazione della società – come scrive il giornalista Ivan Carozzi nel suo ultimo saggio per Eris Edizioni – del “Fine lavoro mai”.
Immancabile il denim, spesso in volumi oversized. Il trend da un lato conferma l’appeal verso la ricerca materica del raw e selvedge denim spinta, sempre in chiave di riscoperta street dell’heritage del workwear, dalla cultura nipponica, dall’altro in chiave ‘90s e y2k come a ribadire che non si sfugge dalla rivoluzione Diesel firmata Glenn Martens.
La storica influenza del Giappone sulla cultura dell’architettura e del design si riflette in un approccio egualmente pauperista e futuristico al guardaroba, con ricerche formali su tagli dei capi e l’evoluzione in chiave street di abiti della tradizione come l’haori.
Gli abiti sono la Cocoon di un pubblico che cerca di bilanciare formalità a streetwear, come se il baseball cap smorzasse la formalità di blazer e cravatta, e la sneaker si sostituisse a brogue e mocassini come calzatura ufficiale da lavoro.
Ecco, allora, che materiali tecnici incontrano quelli sartoriali e tradizionali in un rapporto – almeno teoricamente – armonico di utilitaria eleganza, frugale ma non per questo trasandato, come a suggerire che la ricerca progettuale sugli interni si debba tradurre in silhouette ariose, solide ed ergonomiche.
I neo-dandy e la nostalgia Settanta
Immancabili, poi, i pavoneggianti neo-dandy, zoccolo duro di ogni rassegna streetstyle che si rispetti e fautori della recente rinascita iconografica del Pitti Uomo. A Milano, potremmo definirli bausciacore. Nonostante non siano di primo pelo, sono anch’essi, se non più degli adolescenti, agitatori di nicchie social ultraperformative. Sempre abbronzati e massimalisti, non conoscono vie di mezzo: la caviglia o è oscenamente scoperta anche d’inverno o è guantata da calze dai colori più sgargianti, i pantaloni sono affilatissimi oppure extra-wide, ma sempre con pinces e a vita alta.
A Milano, potremmo definirli bausciacore
Resistono ultime ventate del Gucci targato Alessandro Michele, tra montature oversized dal gusto anni ‘70, ampie zampe d’elefante e speranzose safari jacket per chi cerca, in una primavera disattesa dalla pioggia, un po’ d’Africa in giardino tra l'oleandro e il baobab del Bosco Verticale. Il corso Michelino di Gucci ha contribuito a sdoganare la borsa anche sull’uomo e ne vediamo, oggi più che mai, i frutti in una sfilata di borse, borsettine e borsettate. Su tutte, quelle compatte e funzionali di Rimowa, da portare a tracolla come solidi astucci utilitari e glamour.
La ricerca materica
Similmente, risulta duro a morire anche Off-White, che si conferma un marchio ambito per chi vorrebbe dimostrare in pubblica passerella una certa dimestichezza con l'ibridazione di streetwear e design.
È dopotutto questo il tema cardine della moda a questa Design Week. I materiali tecnici che hanno fatto da apripista al trend Gorpcore – al momento gettonatissimo tra anorak Arc'teryx e i capi più sperimentali di casa Nike – arrivano proprio dal guardaroba di addetti al settore del design, a sottolineare l’appeal esercitato, oggi più che mai, da design e architettura sulla più ampia cultura popolare.
Lo suggerisce anche la ricerca, condivisa tanto da designer e produttori quanto da stilisti, sull’organico e su tecniche di produzione filo-ambientaliste che si riflettono nei pattern e nella materialità dei capi fotografati in strada.
Non stupisce, dunque, che tra gli ultimi baluardi delle chunky sneaker à-la Balenciaga e il ritorno di silhouette affusolate in stile Adidas Samba o Asics Tiger, il mondo del design si concentri sugli sviluppi progettuali di scarpe da trekking e running da anni votate alla strada, come New Balance, Salomon e suole Vibram. D’altronde, come sottolinea Darryl Matthews Footwear Design VP di Nike, oggi “si progetta per atleti sociali”
Insomma gli abiti sono la Cocoon di un pubblico che cerca di bilanciare formalità a streetwear, come se il baseball cap smorzasse la formalità di blazer e cravatta, e la sneaker si sostituisse a brogue e mocassini come calzatura ufficiale da ufficio.
Il layering e la stratificazione di pile e gilet trapuntati, analogamente, diventano la risposta alle imprevedibilità metereologiche in un periodo di allarmante emergenza climatica. Salutato, con attitudine anglosassone, l’annoso fardello del cambio di stagione, il pragmatismo dei designer sembra aver contaminato il sistema moda, facendo anche dei capi d’abbigliamento dei Global (e universal) Tools con cui affrontare il mondo.
Memetica e performatività urbana
Rubicone che traccia la linea di demarcazione tra designer e civili è infine il cappellino. Ci sono quelli New Yorker-chic delle squadre di baseball (LA Dodgers, Boston Red Sox's, New York Knicks e Yankees su tutti), spesso declinati in collaborazioni che oscillano tra l’art hoe (MoMa) e l’hypebeast (Aime Leon Dore). Ma anche quelli post-ironici, figli della cultura normcore e della memetica, come il merch pacchiano e glitterato per turisti o quelli promozionali di aziende agricole e sagre paesane.
Analogamente, anche i prodotti tech, come le Apple AirPods Max, diventano in primis un accessorio socio-performativo in cui la moda incontra la ricerca progettuale.
La crescente ibridazione di moda e design
Pur lasciando progressivamente alle spalle lo stereotipo del total-black, designer e architetti sembrano ancora riflettere il pragmatismo delle loro discipline anche nel loro stile. Anche se le speculazioni iperboliche della moda emergono meno durante la Design Week, questi due pubblici risultano oggi sempre più ibridati tra di loro, anche complice il flirt tra le due discipline spinto dai social media e dal mecenatismo di molte maison.
Immagine di apertura: una selezione di look nelle strade di Milano durante la Design Week, foto di Matteo Valle