Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1070, luglio-agosto 2022.
Riguardando nel suo complesso e nel suo contesto oggi, nel primo ventennio del XXI secolo, l’opera di Gaetano Pesce, si coglie la sua portata pionieristica. Il suo percorso – non solo creativo e progettuale – affonda le radici nell’adesione al Radical design, anticipato nel suo Primo manifesto per un’architettura elastica, enunciato nel 1965 a Jyvaskyla, in Finlandia, in un congresso dedicato a “La società nell’architettura”. Lo fa nei diversi contesti geografici e culturali in cui si è mosso – una scelta “per evitare l’assuefazione ai luoghi”, ha dichiarato in un’intervista –, e nei rapporti personali con figure dell’industria e della cultura internazionali.
Gaetano Pesce, pioniere del design come forma d’arte
Figura di spicco nel design sperimentale, ha sfidato le norme del settore con i suoi approcci progettuali-metodologici, privilegiando le materie plastiche e realizzando opere attente a problematiche sociali. A raccontarlo, una mostra personale in Cina: “Nobody’s Perfect”.
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- Anty Pansera
- 17 agosto 2022
All’inizio degli anni Settanta, Cesare Cassina lo convinse a prendere parte a un’operazione ‘periscopio’, per sperimentare l’evoluzione del design con progettisti dai linguaggi diversi: oltre a Pesce, venne coinvolto Alessandro Mendini. È l’avventura di una società o, meglio, di un centro di design che, per un lustro ha teso a ‘provocare’ il mercato. Il suo nome, Bracciodiferro, è lo stesso del progetto d’insieme, invenzione dello stesso Pesce. La sua missione è produrre “oggetti sperimentali”.
È soprattutto analizzando Bracciodiferro che mi sono avvicinata alla figura e al fare di Gaetano Pesce. La sua Moloch è un oggetto ‘utile’, più che radical, rivisitazione, quadruplicata nelle proporzioni, dell’archetipo della lampada da tavolo L1 (1936-1937), la Luxo di Jac Jacobsen apprezzata per la sua forma molto pratica. Moloch anticipa la scelta di ‘creare’ oggetti che abbiamo ognuno la propria individualità, come il tavolo e le omonime sedute “dall’inquietante nome Golghota”, e la ricerca di quei nuovi materiali che lo permettono: “Un materassino in fibra di vetro, imbevuto di resina, sovrapposto a una controforma e sospeso, ancora in fase di indurimento, che prende l’impronta originale dell’operaio che ci si siede”, nelle parole di Rodrigo Rodriquez.
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Foto Zhang Zhizhou. Courtesy of Gaetano Pesce office and Design Society
Definito da Carlo Scarpa “l’uomo di schiuma” per il suo interesse nei confronti dei materiali schiumati e per il grande interesse e abilità a sperimentare le resine coniugandole con materiali plastici di ogni genere, da cui trarre inedite possibilità formali nella progettazione, Pesce ha sempre privilegiato le materie plastiche, e sempre ne ha valorizzato l’innovazione tecnologica. Le ha infatti usate in modo ‘alternativo’, come nella serie di sedute Up (1969), che diventa subito un’icona del design industriale italiano e internazionale, e poi anche nella Up 5, che riprende le forme delle statue votive delle dee della fertilità, quasi un manifesto sulla condizione femminile. La versione più emblematica è soprattutto la Up Chair 5-6, una seduta con un esplicito messaggio politico, come ha mostrato chiaramente l’installazione in occasione del Salone del Mobile di Milano del 2019, dove è stata proposta trafitta da 400 frecce, puntuale denuncia sulle donne prigioniere nella sfera domestica.
Esemplari anche la poltroncina Dalila e il divano Tramonto a New York (1980) nonché la caffettiera Vesuvio (1992). Da vero pioniere, Pesce si è indirizzato verso il design come forma d’arte, convinto che potesse rappresentare meglio la realtà, mentre l’oggetto industriale poteva contenere tutto quello che può essere espresso. I suoi approcci progettuali-metodologici hanno sempre testimoniato la sua attenzione e il suo impegno per le problematiche sociali che ha incontrato nel corso degli anni, non ultima quella “tutela dell’ambiente” cui ha sempre teso con le sue plastiche.
Designer, poeta, maestro, filosofo, alchimista, ingegnere e narratore: Pesce ha saputo, anzitempo, superare i confini tra arte, architettura, urbanistica, design di prodotto e degli interni, oltre che allestimenti per mostre, coniugando libertà creativa e individualismo con una progettualità che non si può che definire rigorosa. Le sue invenzioni e le innovazioni che ha apportato ai processi sono all’insegna di una voluta e consapevole pluridisciplinarità.
La sua produzione è, certo, articolata, ma sempre coerente, come ben testimoniano anche le centinaia di materici, colorati, visionari e sempre intriganti pezzi che sono andati in scena nella mostra “Nobody’s Perfect” a Shenzhen, Pechino e Shanghai, prime presenze di Pesce in Cina. Si tratta di “prodotti a caso in serie”, come li ebbe a definire lo stesso designer. La loro grammatica e sintassi compositiva continua a comporsi e imporsi in un linguaggio universale e, sicuramente, evergreen.