Il concetto di Gran Turismo venne introdotto da Maserati nell’immediato Dopoguerra. Un potente motore davanti, trazione sulle ruote dietro, per una quattro ruote bella da vedere, emozionante da guidare anche sulle lunghe tratte e, all’occorrenza, performante in pista. L’idea di una Gran Turismo pensata per il solo impiego agonistico, invece, venne ad Enzo Ferrari in persona. Fu proprio lui, nel 1960, a chiedere all’ingegnere Giotto Bizzarrini di realizzare, in vista dei nuovi regolamenti sportivi, una berlinetta leggera e molto veloce. Il disciplinare era semplice: avrebbe dovuto sfruttare il propulsore della già affermata serie 250 GT ed essere in grado di stracciare le Jaguar E-Type della concorrenza in gara. La potenza finale del dodici cilindri, modificato ad hoc, era di 300 cavalli a 7.500 giri/min; il corpo vettura fermava l’ago della bilancia a 880 chilogrammi, all’incirca come una Smart ForTwo di ultima generazione.
Con una meccanica tanto eccezionale la carrozzeria non poteva essere da meno. E così fu. La carrozzeria dell’inedita Ferrari 250 GTO – acronimo di Gran Turismo Omologato – non è il semplice frutto dell’estro di un talentuoso designer. Chi stilizza auto stradali deve fare i conti con un’infinità di esigenze, talvolta in contraddizione tra loro: prestazioni e sicurezza, comfort e dimensioni, costi ed efficienza, solo per citarne alcune. Parametri che mutavano radicalmente nello sviluppo di una purosangue da corsa, dove potenza, controllo ad alte velocità e maneggevolezza erano fondamentali.
Quando il primo esemplare venne presentato nel 1962, sessant’anni or sono, gli addetti ai lavori rimasero sorpresi dall’aspetto della nuova arrivata. La GTO sfoggiava una carrozzeria che, sebbene molto attraente, restava funzionale a quello scopo motosportivo per cui era stata progettata. Sergio Scaglietti, allora responsabile del Centro Stile, aveva lavorato in totale libertà, senza dare troppo peso alle tendenze del momento.
La curvatura dei passaruota anteriori, il muso lungo, le luci. Ogni elemento contribuiva a ritagliare nello spazio un’allure pregna di significato, già senza tempo e oltremodo intrigante. Il tettuccio basso che scendeva in un unico movimento verso la curvatura dello spoiler posteriore – il primo su una vettura stradale – le fiancate muscolose, l’assetto basso e gli sfoghi laterali dell’aria in bella mostra regalavano piacere a chiunque la ammirasse. La si poteva guardare da ogni angolatura, altezza, prospettiva, fronte, retro: la linea di questo bolide da corsa era straordinaria. Allora come oggi.
Per gli interni della GTO non furono necessari particolari interventi stilistici, anche perché i due sedili imbullonati al pavimento erano l’unico dettaglio dell’abitacolo morbido al tatto. La strumentazione era raccolta in un cruscotto molto essenziale posto davanti agli occhi del pilota, che tra le mani poteva stringere un volante Nardi a tre razze in alluminio alleggerito e con impugnatura in legno. Grazie al classico pomello del cambio sferico si potevano innestare le cinque marcie facendo scorrere la lunga leva attraverso la griglia di selezione cromata; gli elementi metallici della cabina erano ben allineati, saldati e rivettati; il parabrezza era ampio e i finestrini in plexiglass.
Oggi le quotazioni delle 36 + 3 unità prodotte fino al 1964 hanno raggiunto cifre stellari. Un esemplare di GTO potrebbe essere barattato tranquillamente con una tela di Rothko o, se preferite, un bel Magritte. Scambio non casuale, perché questa vettura così iconica e influente nel panorama automobilistico mondiale è un’opera d’arte a tutti gli effetti. Il Tribunale di Bologna, qualche anno fa, ha accolto l’istanza presentata dalla Casa di Maranello volta a tutelarne il design da ogni possibile forma d’imitazione, trasformandola di fatto in un capolavoro artistico.
A causa dell’evoluzione dei materiali e delle mutate normative di sicurezza nelle competizioni, la Ferrari 250 GTO è stata l’ultima vera Gran Turismo da corsa, segnando la fine di un’era. Una macchina che si poteva tener parcheggiata nel proprio garage, guidare fino alla pista, usare per vincere la gara del giorno e per tornare poi a casa come se niente fosse. Un’opera d’arte statica ma soprattutto dinamica, che affascina l’immaginario di appassionati e non solo da sei decadi.
Immagine in apertura: Ferrari 250 GTO. Courtesy Quattroruote