L’approccio scientifico al car design è una tematica che la scuola automobilistica francese ha preso particolarmente a cuore nel dopoguerra, dando vita ad alcune delle vetture più significative dell’era moderna. Risultanza di un estremo rigore intellettuale e non più di un isolato cluster funzional-applicativo, le automobili prodotte da questo modus operandi si sono distinte per il loro carattere incisivo, per essere sempre attuali e impermeabili per anni alle mode che sarebbero arrivate. Auto da vivere tutti i giorni e auto per la vita al tempo stesso. Come la Renault 5, che quest’anno taglia il traguardo del mezzo secolo di vita.
Verso la fine degli anni Sessanta, nei Centri Stile del vecchio continente, serpeggiava un nuovo capitolo evolutivo. Mentre a Mirafiori, in Fiat, si definiva la meccanica della compatta a trazione anteriore, in quel di Boulogne-Billancourt i rivali transalpini di Renault si concentravano più sul fattore estetico.
La Renault 4 del 1961 – nata per contrastare il successo della Citroën 2CV – andava per la maggiore nelle concessionarie della Losanga, ma le prestazioni modeste e la sua configurazione non erano certo ideali per le lunghe tratte. Con l’avvento della Renault 16, prima berlina di classe medio-alta dotata di portellone posteriore, si paventò la strada per una soluzione rivolta ad un pubblico i cui gusti ed esigenze mutavano velocemente.
Il vetusto schema dell’utilitaria a motore posteriore – eredità del Maggiolino che ormai aveva già spento trenta candeline – lasciava poco spazio ai bagagli, fatto che si traduceva in una scarsa praticità d’utilizzo oltre al breve raggio. Occorreva quindi una quattro ruote minuta ma abitabile, scattante, tanto versatile quanto poco onerosa. Lo capì bene Bernard Hanon, assunto nel 1967 e divenuto dopo pochi anni Direttore Pianificazione. Fu lui ad intuire che anche in Europa, così come accaduto oltreoceano, il mercato era pronto per la “seconda macchina”: una vetturetta per la classe urbana emergente, per i giovani e per il pubblico femminile. Fu così avviato il progetto 122.
Nel Centro Stile di Billancourt brillò il disegno del trentunenne Michel Boué, talmente valido che i vertici Renault lo approvarono all’unanimità, senza nemmeno visionare le altre proposte. La nuova piccola Renault andava a collocarsi sopra la R4 in termini di prezzo, finiture ed equipaggiamenti, prendendo però le distanze dall’ultra compatta e snob Mini.
La Renault 5 venne presentata nel gennaio del 1972 impressionando per maneggevolezza e personalità.
Il frontale era caratterizzato da grandi fari quadrangolari, tra i quali correva una feritoia che fungeva sia da presa d’aria, sia da calandra. Sopra il badge Renault, sotto un grande paraurti in materiale plastico che inglobava anche gli indicatori di direzione. Era una prima assoluta: fino a quel momento, infatti, i paraurti erano quasi tutti in metallo. La vista laterale permetteva di apprezzare gli sbalzi ridotti del corpo vettura a due volumi, fatto che conferiva da un lato una maggior grinta e dall’altro una maggiore abitabilità interna, grazie alla ridotta intrusione dei passaruota. Le portiere erano prive di maniglie, sostituite da un pulsante accoppiato ad un incavo per accogliere la mano di chi s’accingeva ad aprirle. Questa soluzione fu scelta per snellire e “ripulire” la fiancata. Altra peculiarità, il taglio del passaruota posteriore, leggermente schiacciato in modo da coprire leggermente la ruota e conferire un look più brioso. Anche la coda, con l’andamento inclinato dei montanti posteriori e del portellone, aggiungeva un gradito tocco di dinamismo. I fari posteriori a sviluppo verticale ed il paraurti posteriore, anch’esso interamente in plastica scura, completavano il tutto.
L’abitacolo, opera di Robert Broyer, proponeva contenuti moderni per l’epoca come la console centrale, che ospitava anche i condotti dell’aerazione; l’unica bocchetta preposta a tale scopo si trovava poco più alto, al centro della plancia. Il cruscotto rettangolare ospitava sezioni quadrate. Il bagagliaio, in rapporto alle dimensioni della R5, era più che discreto: dai 200 litri di volume standard s’arrivava a 900 litri abbattendo lo schienale posteriore. La vivace gamma dei colori della carrozzeria rifletteva il carattere sbarazzino della vettura e anche per i sedili si potevano scegliere toni inusuali come l’arancio o il verde mela.
Buon cinquantesimo Renault 5, compatta che oggi apostroferemmo radical, raccontata negli anni Settanta da Hanon come “un colpo di genio, un vero fulmine a ciel sereno”. Come biasimarlo d’altronde, ne furono vendute oltre cinque milioni di unità tra il 1972 e il 1984, anno in cui fu mandata in pensione. Venne sostituita dalla Super 5 che, grazie ad un aggiornamento estetico fedele all’originale operato da Marcello Gandini, divenne – anche grazie alle vittorie delle sue versioni da corsa nei rally – ancora più popolare e iconica. Nel 1992, infine, la Clio avrebbe preso le redini di questo segmento cruciale per la Casa della Losanga, ma questa è un’altra storia. Nostalgia per lo stile innato della mitica R5? La sua erede elettrificata è già qui.