Jerusalem Design Week: “East”, uno spazio mutevole orientato al futuro

Negando ogni folklore, il punto cardinale è eletto a territorio d’indagine dall’ultima edizione della design week israeliana. Una dimensione liminare dove ricostruire e immaginare le configurazioni di un Oriente in divenire.  

HQ Architects, 90 Degrees

Non uno sguardo verso est, ma una riflessione sull’idea di est. È con l’invito a rivolgersi a questo emblematico punto cardinale come ad un rizoma denso di significazioni che ha aperto i battenti la nona edizione della Jerusalem Design Week (JDW), il più importante evento israeliano legato al design nonché banco di prova per molti giovani designer locali.

Inaugurata nel 2011 e dal 2016 aperta anche a designer internazionali, la manifestazione ospitata presso Hansen House, l’antico lebbrosario oggi riconvertito a fab lab, si offre non tanto come una vetrina per nuovi prodotti, quanto come una piattaforma orientata alla ricerca attraverso lo sviluppo di mostre, installazioni e progetti trasversali per un totale di circa 200 lavori in mostra, la maggior parte dei quali su commissione e inediti.

Attuale e coraggioso in una città dove l’est e l’ovest incarnano un confine tanto simbolico quanto tangibile e dove la loro dialettica rimane da decenni un’istanza mai risolta sulle agende politiche internazionali, il tema “East” riesce a inquadrare e descrivere una tensione che è sì eminentemente locale, ma che esprime la sua rilevanza a livello globale.

“Dov’è l’est? Continuiamo a leggere notizie allarmanti al riguardo: la Russia che ricostruisce la sua cortina di ferro, i rifugiati siriani, la Hollywood cinese che diventa più grande di quella americana… Per gli occidentali, permane questo senso di minaccia, o di un futuro misterioso. Scegliendo l’est come tema per la design week, abbiamo cercato di evitare qualsiasi nozione folkloristica. Cosa abbiamo capito nel corso del nostro approfondimento è che non esiste un est geografico: l’est è solo una direzione, non esiste un luogo al mondo che si chiami est. Non appena sgombrato il campo dall’equivoco, diventa possibile affrontare attraverso la lente del design le tematiche sociali e politiche che lo definiscono”, raccontano Tal Erez, chief curator della JDW, e Anat Safran, direttore artistico.

Indianama
Indianama, iniziativa dell’agenzia creativa Animal di New Delhi

A cura degli stessi Erez e Safran, la mostra “Across the East” indaga il costante moto del pendolo che ha alimentato la complessa relazione tra Oriente ed Occidente, ridisegnandone ogni volta le relazioni e le mutue sfere di influenza. È la latitudine, piuttosto che la longitudine, la direzione da esplorare, come indica il viaggio attraverso la via della seta del progetto Via Binarii di studio UNFOLD.

Attraverso una call partita dalla Cina e giunta sino agli Stati Uniti, una teiera cinese è stata rivisitata da sette diversi designer (Jonathan Keep, Keith Simpson, Emerging Objects, Ronald Rael &Virginia San Fratello, FabCraft Design Lab, Kamm Kai Yu, Tzu-Yi Lu & Zhao-Wei Liu, Emre Can, Shlomit Bauman, Noam over & Itay Ohaly, Unfold), i quali hanno aggiunto una diversa lettura, una diversa stratificazione culturale a questo oggetto archetipico. L’ubiquità dell’est si rivela anche in East Side, un ritratto video di tre città – Berlino, Gerusalemme e Tokyo – dove la dialettica intorno a questo punto cardinale ha assunto da sempre un profondo significato politico e culturale.

Un poetico sguardo ad est è evocato anche da Textile Surprise (di Merav Peretz, Ayelet Karmon e Ori Topaz), un tessuto realizzato a telaio che, grazie all’integrazione di circuiti elettronici, permette di sfumare con la luce il propri pattern stampati, ricreando gli effetti di quel fenomeno naturale, l’alba, che proprio dell’est è il sinonimo per eccellenza.

The Matchmakers
The Matchmakers. Curatori: Daniel Nahmias, Tariq Nassar. Designer: Tharaa kirresh, Alaa Edris, Abeer Najar, Amjad Barq, Abdo Julani, Shady Francis Majlaton, Muhammad Mahlwas, Maisoon Swailem

Lo spaesamento tra punti cardinali e il relativo annullamento dei confini è quindi evocato anche da alcuni padiglioni temporanei realizzati in occasione della design week. A cura di HQ Architects, 90 degrees è un imponente sistema di impalcature che cinge la struttura della Hansen House, ridisegnando i flussi di passaggio all’interno dell’edificio e offrendo una vista insperata sul panorama di Gerusalemme. Il padiglione East of Sun, di Daniel Zahry, Lila Chitayat, Dafna Kron, rievoca invece con le sue mutazioni sonore e cromatiche il continuum che lega l’est e l’ovest nel corso del giorno, e si apre ad accogliere il ricco programma di incontri e performance organizzati durante della settimana.

Lo sguardo ad Oriente non si esaurisce con la disamina sull’Oriente medio e vicino, ma si allarga, anche grazie alle partnership con la Design Art Tokyo e la Taiwan Designers’ Week, fino all’Estremo Oriente con i suoi cortocircuiti tra carattere imperituro e l’accelerazione della contemporaneità. Sempre più predominio delle superpotenze asiatiche, la tecnologia è chiamata in causa da Drawn by Drone, una performance realizzata in collaborazione con lo studio giapponese Figlab in cui il moto di un drone risponde al disegno live realizzato da un designer.

Inaugurato durante l’opening della design week, CLUB ALL (a cura di Hadas Zucker) svela infine attraverso la dimensione eminentemente ludica di un dancefloor l’immaginario della cultura underground cinese contemporanea, evidenziandone l’insospettata l’inclinazione verso iperrealismo e massimalismo.

Immagine di apertura: HQ Architects, 90 Degrees. Crediti Dor Kedmi

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