“La sperimentazione è parte integrante del nostro lavoro. Quando cominciamo un progetto, non necessariamente abbiamo idea di dove andremo a finire. La sperimentazione per noi è seguire un processo o una ricerca specifica, che produce risultati inaspettati e ci permette di maturare una posizione originale rispetto alle nostre idee iniziali. È un modo per imparare”. Lo sostengono Simone Farresin e Andrea Trimarchi che insieme, dal 2009, costituiscono lo studio Formafantasma, e che alla scorsa Design Week milanese sono stati premiati con il “Design Prize”, proprio nella categoria “sperimentazione”. Lo confermano, gli ultimi due progetti che, nella loro estrema diversità – uno smalto ceramico e una lampada – sono accomunati dall’approccio empirico dei due designer. Che si tratti di reimpiegare i rifiuti elettronici (Ore Streams, in mostra alla Triennale all’interno di “Broken Nature”) o di riflettere sulle possibilità della luce (Foundation) o ancora di raccontare e illustrare l’alimentazione a idrogeno (per Lexus), i due designer italiani di stanza a Eindhoven non smettono di meravigliare grazie al loro sguardo poetico e concreto, narrativo e scientifico allo stesso tempo.
Formafantasma: “Lasciamo che sia il materiale a guidare il risultato finale”
Intervista a Simone Farresin e Andrea Trimarchi sui loro ultimi progetti: una lampada per Flos, scenografica e minimale, e uno smalto per Dzek che nasce dalla cenere dell'Etna.
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- Elena Sommariva
- 09 maggio 2019
- Milano
“Ex Cinere”, per il marchio britannico Dzek, il primo sorprendente progetto, è uno smalto per la ceramica ricavato dalla cenere vulcanica. Anche in questo caso continua la vostra ricerca “De Natura Fossilium”, che partiva da due vulcani italiani, l’Etna e lo Stromboli.
All’inizio è stato Brent (Dzekciorius, fondatore dell’azienda, ndr) a contattarci dopo avere visto “De Natura Fossilium”. Siamo partiti dall’idea di sfruttare la lava per produrre il vetro: abbiamo cominciato con dei test in una vetreria turca. A Venezia, poi, abbiamo provato a fare dei mattoni in vetro. Infine, abbiamo ripreso un’idea che avevamo avuto all’inizio: sciogliere la cenere lavica per fare della ceramica, abbiamo ottenuto uno speciale smalto per la ceramica. L’estate scorsa a Columbus, Indiana, l’abbiamo applicato su una parete di mattoni, Window to Columbus. Erano i primi esperimenti che hanno portato a questo prodotto, una finitura per interni ed esterni funzionale, dopo un grande lavoro d’ingegnerizzazione del materiale.
Quale effetto volevate ottenere?
Nessuno in particolare, volevamo realizzare uno smalto a partire da questo materiale. E volevamo che fossero il materiale e la sua ingegnerizzazione a guidare il risultato finale, che è molto simile alle mattonelle usate negli anni Settanta. I toni del marrone recuperano un gusto per la ceramica e l’architettura che oggi è quasi scomparso.
Ex Cinere recupera il legame tra la materia e il luogo dove viene prodotta.
Quali vantaggi offre usare questo processo?
L’idea di partenza era pensare a quale produzione si potesse ottenere da una località specifica. Quello che si recupera è il collegamento di una produzione con un territorio. E anche un legame tra la materia e il luogo dove viene prodotta. È stato un percorso affascinante, perché – come molte delle cose che facciamo – sai dove comincia, ma non dove va a finire. Il risultato finale recupera una tipologia di smalto ceramico che sta scomparendo, un’estetica più materica e anche più tradizionale.
Senza sfruttare e impoverire il territorio…
È l’idea che avevamo fin dall’inizio e che è cominciata con “De Natura Fossilium”: il vulcano come una miniera.
Il secondo progetto è Wireline, la nuova lampada per Flos, che prosegue la ricerca avviata due anni con Wirering.
Ci piace l’idea di costruire una narrativa che possa durare nel tempo. Prosegue la strada avviata con Wirering, ma cambia la scala. Con Wirering volevamo fare un lavoro di riduzione, cercavamo un oggetto che fosse il meno possibile, volevamo capire cosa si potesse fare con gli elementi minimi della luce, dell’elettricità e la fonte luminosa. Due anni fa, abbiamo lavorato su un oggetto più umile, legato alla storia di Flos, che richiamava in qualche modo Castiglioni con la Parentesi. In questo caso, spingiamo quell’idea su una scala completamente diversa. Ora, con Wireline portiamo la ricerca su una scala completamente diversa, dallo spazio domestico a quello pubblico. La parte principale del progetto è il lavoro d’ingegnerizzazione del cavo, completamente custom.
Quali sono i materiali utilizzati?
Ci sembrava interessante l’accostamento di due prodotti molto industriali – la gomma e il cavo elettrico – con un estruso di vetro con i LED all’interno, che è percepito come materiale più sofisticato e, a livello formale, ricorda quasi un elemento Art Déco. È il cavo elettrico, nascosto all’interno del nastro in gomma, a disegnare la lampada. Il cavo elettrico ha sostituito la lampadina. L’attacco a soffitto, in un punto solo, è decentrato.
Il nostro è un minimalismo più tecnico che concettuale.
È il vostro progetto più minimalista?
È un minimalismo più tecnico che concettuale. Quando è montata, la lampada è grande e scenografica. Quando è smontata, invece, non diventa niente. L’altra cosa interessante è che si tratta di un modulo che si può replicare e combinare in modi diversi. Si può decidere l’altezza: dalla dimensione domestica a grandi ambienti.
Foto di apertura: Simone Farresin (a sinistra), Brent Dzekciorius (al centro) e Andrea Trimarchi (a destra). Foto Giulia Di Lenarda