A Torino nascondo il viso nel colletto alzato della mia giacca blu. Cammino veloce, per la strada che dal Rondò Rivella scende fino al Po. L’appuntamento è al civico numero 2 di via Napione, una villa in stile francese, costruita nel 1888. Ad attendermi, Fulvio Ferrari, un carismatico chimico convertito al design, senza dubbio il più grande appassionato conoscitore delle opere di Carlo Mollino (1905-1973).
Inizia così una visita guidata che tanto somiglia a un viaggio fascinoso e intriso di mistero. La casa, riprogettata dall’architetto tra il 1960 e il 1968, oggi ricostruita come museo, era una dimora segreta, intesa come rifugio dello spirito, destinata a ospitarne l’essenza dopo la parentesi della vita terrena. Molti sono i riferimenti simbolici occulti legati alla civiltà̀ degli antichi Egizi, una cultura che esercitava in lui una potente seduzione: dal letto ottocentesco a forma di barca, rappresentante lo strumento necessario al trapasso, al tavolo ovale che ricorda un monumento funerario, fino alla parete ricoperta di farfalle colorate, testimoni della gloriosa rinascita dopo la morte.
Gli specchi che riflettono lo scorrere del fiume e il roseto adiacente, celebrano un dialogo costante con la natura, nell’illusione luminosa di un’energia eterna. Questa vera e propria residenza d’eternità del “faraone” Mollino, una sorta di tesi di laurea con cui termina la vita, cela una chiave di lettura: è nascosta ne Il Messaggio dalla Camera Oscura, un libro sulla fotografia di cui è autore, ma che nulla ha a che vedere con la cultura dell’antico Egitto. Nel frontespizio però compare l’immagine della regina egizia Taja, moglie del faraone Amenophis III. Elemento questo fondamentale per orientare in direzione dell’antica civiltà del Nilo un secondo Messaggio che ci porta alla cripta della piramide (la Camera Oscura), e alla costruzione di un interno ideale qui richiamato dalle scelte stilistiche e dagli innumerevoli dettagli nascosti nella casa, altrimenti incomprensibili.
Rigorosamente educato come ingegnere, Mollino, anticonformista e inquieto genio solitario, intende la vita con finalità creativa. Designer, progettista d’interni, scrittore, architetto e fotografo, ma anche sciatore, automobilista e pilota di aerei, è tra le menti più geniali e poliedriche del XX secolo. Tra le sue varie invenzioni compare, il Bisiluro Damolnar (1955), auto da competizione con cui supera la selezione della 24 Ore di Le Mans. A lui il merito del progetto del Teatro Regio, la realizzazione dell’Auditorium RAI e della Camera di Commercio della città sabauda. I suoi pezzi unici di design, esposti nei più importanti musei del mondo come il Victoria and Albert di Londra, il Brooklyn Museum di New York, il Vitra Design Museum di Weil am Rhein, sono espressione di uno studio meticoloso, sia nella progettazione di elementi innovativi sia nella loro resa perfetta.
Le sue creazioni sovente s’ispirano al corpo femminile: immagini sinuose come i corpi nudi delle modelle che era solito immortalare. Ed è proprio alla fotografia che Mollino ha sempre riservato un ruolo privilegiato, intendendola come mezzo espressivo e strumento di costruzione del proprio quotidiano. Polaroid senza firma: espressione di un ulteriore aspetto inedito del suo animo, più che opere d’arte nell’accezione più usuale del temine.
Chi era Carlo Mollino?
Fulvio Ferrari: Chiarisco subito che non è esistito il Mollino visionario, dandy, erotomane che viene solitamente rappresentato. È stato un personaggio elitario, estremamente dotato. A sei anni, in prima elementare, disegna la sezione del cilindro del motore a scoppio di un’automobile. Da qui si può iniziare a capire che la sua è una mente meravigliosa. Le cose di Mollino sono matrioske, scatole cinesi che ne nascondono altre. Non parlerà mai di se stesso, non spiegherà mai la sua opera. Va cercato dove non c’è. Trovo il suo aspetto più affascinante appunto nella segretezza con cui ha condotto la sua singolare vita, interamente imperniata sulla comprensione dell’esistenza. Poco prima della sua morte, avvenuta per infarto nel 1973, aveva inviato al sovrintendente del Teatro Regio una lettera contenente questa frase: “In questa mia tarda maturità sto preparando, come il cinese di rango fa ornare in vita il suo mausoleo, in un corridoio della mia casa, una specie di viale del tramonto laddove in sequenza stanno le fotografie e quant’altri ricordi della mia vita: tutti belli o quasi”.
Come è arrivato a decodificare il lavoro di Mollino, per comprenderne il messaggio?
Se vedo un semaforo rosso mi fermo. Quel rosso è un simbolo. L’opera di Mollino è intrisa di simboli, quindi mi sono fatto “archeologo del moderno” e un poco per volta ho potuto comprendere il suo linguaggio silente.
Perché a un certo punto Mollino decide di dedicarsi alla fotografia artistica?
La fotografia, mezzo che conosce fin dall’infanzia, è uno dei suoi linguaggi come per lui lo sono stati l’architettura, la tecnica, l’arte. La fotografia gli permette la creazione di un mondo iperuranio, il mondo delle favole in cui Mollino vive il suo pragmatico quotidiano, la sua Vita di Oberon, come recita il titolo della sua autobiografia. Oberon, nel Sogno di una Notte di Mezza Estate di Shakespeare, è il re della notte, del bosco e, soprattutto, delle fate.
Cos’è per lui il Teatro?
Il Teatro ci riporta a Oberon, alla possibilità di concretizzare con la recitazione la visione dell’artista. Ne consegue che l’edificio teatrale è per Mollino il luogo magico in cui il sogno diviene realtà. Il Teatro Regio di Torino assume quindi, in pianta, la forma di un corpo femminile, la forma della Grande Donna Architettonica che ospita nel suo interno il continuo flusso della nascita dell’arte.
Come ha accolto, Torino, la persona di Mollino negli anni?
Nessun interno di Mollino è stato preservato (all’infuori dell’odierno Museo Casa Mollino, peraltro ricostruito) e nessun edificio di Mollino è stato mantenuto nell’originaria realizzazione. Demolizioni e interventi hanno irrimediabilmente modificato la sua opera.
Gio Ponti diceva che “negli interni di Mollino, i mobili sembrano degli animali pronti a scattare”: quali sono le sue creazioni di design più̀ significative?
Mollino non è stato un designer. Il designer lavora per aziende produttrici. Mollino non ha mai lavorato per alcun produttore ed è bene chiarire l’equivoco che i mobili oggi prodotti e venduti sul mercato come opere di Mollino nulla hanno a che fare con gli originali unici, ineffabili e costosissimi, quindi “fuori mercato” da lui creati. Ogni sua realizzazione è quindi significativa ma lo è in direzioni costantemente variate ed interessanti.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Continuo a essere avvinto e a lavorare all’infinita scoperta del senso che Mollino dà alla vita. Da qualche tempo sto anche curando una mostra itinerante sugli smalti che Ettore Sottsass disegnò e produsse nel 1958 per la galleria Il Sestante di Milano. È costituita da una sessantina di oggetti pressoché unici, quindi rarissimi, che accompagnati da schizzi autografi e dalle loro eliografie originali colorate con pastelli a cera mostrano una quasi sconosciuta stagione di Sottsass: quella della sua formazione torinese, strettamente legata alla pittura di cui Luigi Spazzapan fu suo mentore.
- Dove:
- Museo Casa Mollino
- Indirizzo:
- via Giovanni Francesco Napione 2, Torino