Elea 9003 è l’ultimo grande calcolatore elettronico “made in Italy” sopravvissuto dagli anni Cinquanta. Un prodigio della tecnologia ma anche del design: fu grazie a questo progetto di Olivetti che Ettore Sottsass vinse nel 1959 il suo primo Compasso d’Oro.
Bibbiena è un paese di 12.000 abitanti a 40 km a nord di Arezzo. Arrampicato su un colle che si appoggia all’Appennino tosco-romagnolo, si trova vicino alle sorgenti dell’Arno, al confine meridionale del parco nazionale delle foreste casentinesi, in un panorama avvolto da faggi, abeti e castagni i cui legni pregiati sono stati usati dai fiorentini per costruire il loro Duomo. A nord svetta il monte Falterona, mentre appena fuori della porta che racchiude il borgo medievale ha sede l’istituto tecnico tecnologico Enrico Fermi. Negli anni Settanta era l’unico, in provincia di Arezzo e non solo, ad aver avviato corsi di informatica oltre di quelli di elettronica ed elettrotecnica. E, dagli anni Settanta, grazie a una donazione del Monte dei Paschi di Siena, ospita l’ultimo esemplare funzionante di Elea 9003 di Olivetti, il primo computer mainframe al mondo ad utilizzare circuiti integrati, il primo italiano prodotto in serie (ne furono realizzati circa 40 esemplari) e il primo ad architettura modulare aperta, per poter essere configurato con unità di memoria, di calcolo e di digitalizzazione delle informazioni a seconda delle esigenze del cliente.
Com’è arrivato là l’Elea 9003/02? E soprattutto, qual è la storia dietro questo gigante praticamente dimenticato dalla storia ufficiale dell’informatica mondiale? Il primo tassello dell’Elea 9003 è l’idea di Adriano Olivetti, ispirata dal fisico Premio Nobel Enrico Fermi, che l’industria meccanica per le macchine da ufficio nell’immediato Dopoguerra sarebbe lentamente andata a perdere di valore a scapito di quella elettronica, ancora praticamente sconosciuta nel nostro Paese. Olivetti creò un gruppo di lavoro guidato dal geniale ingegnere italo-cinese Mario Tchou che collaborò a Barbaricina, con l’università di Pisa, alla realizzazione del primo calcolatore “made in Italy” (la CEP, Calcolatrice elettronica pisana, un “pezzo unico” per simulare gli esperimenti di fisica nucleare suggerita dallo stesso Enrico Fermi). Dopo Barbaricina il gruppo di lavoro si trasferì a Milano per finalizzare il progetto Elea.
A differenza della CEP pisana, computer prodotto in un unico esemplare e ottimizzato per la velocità del calcolo di piccole quantità di dati, l’Elea aveva la caratteristica di riuscire a trattare quantità per l’epoca relativamente grandi di dati per un impiego gestionale e amministrativo con un design aperto ed espandibile, pensato e ingegnerizzato per la produzione in serie. Dopo i primi due prototipi a valvole e ibridi, la produzione finale di circa 40 esemplari venne avviata con un innovativo design fatto solo dei nuovissimi circuiti allo stato solido, che richiedevano un raffreddamento e un consumo di energia relativamente minori. IBM sarebbe arrivata quasi un anno dopo con la serie 700/7000.
Le vicende della Olivetti successive alla commercializzazione dei primi Elea 9003 sono note: la morte di Adriano Olivetti il 27 febbraio 1960, la morte di Mario Tchou in un incidente automobilistico il 9 novembre 1961, la vendita della divisione elettronica alla General Electric nel 1964 e lo stop dell’elettronica di Olivetti per almeno un decennio.
L’esemplare di Elea 9003/02 in uso a Bibbiena arriva da una strada particolare. Quando, negli anni Settanta, le aziende che avevano acquistato gli Elea cominciarono a decommissionarli, il Monte dei Paschi di Siena decise invece di donare il suo esemplare con matricola 02 all’unico istituto tecnico della Toscana meridionale in cui si insegnasse l’informatica. Un convoglio di camion e una squadra di macchinisti e ingegneri di Ivrea, gli stessi che 20 anni prima avevano creato la macchina originale, raggiunse piazza Giacomo Matteotti 1 e, nell’arco di poche settimane, rimontò il mainframe di Olivetti fornendo anche a due tecnici dell’ITIS appositamente formati tutta la documentazione necessaria al funzionamento e al mantenimento del computer: centinaia di pagine dattiloscritte e di tavole con gli schemi di montaggio.
Per tre decenni gli allievi dell’ITIS di Bibbiena hanno imparato i fondamenti dell’informatica usando il primo, vero computer italiano. Schede perforate, un terminale che ricorda una macchina per scrivere (ovviamente Olivetti), e un ambiente di 200 mq progettato per fare in modo che l’utilizzo del computer fosse il più “umanistico” possibile: ponteggi aerei per far passare la cablatura anziché utilizzare linee di terra, 16 armadi alti un metro e sessanta per consentire la vista di tutta la sala, senza isolare i tecnici e gli operatori in un labirinto di metallo, e in generale una scelta di forme e colori gradevole, che rendesse una dimensione moderna e piacevole dell’ambiente di lavoro. Il design studiato da Ettore Sottsass gli valse nel 1959 il suo primo Compasso d’Oro.
Lentamente, però, arriva l’oblìo. La tecnologia fa passi da gigante e il “vecchio” Elea 9003/02 cade nel dimenticatoio. Tuttavia, un gruppo di appassionati, con la complicità dei dirigenti scolastici dell’ITIS, ha tenuto il computer in vita. Oggi il futuro della macchina è in dubbio: c’è chi lo vorrebbe trasferire in un museo (magari a Pisa), ma così facendo lo “romperebbe”, perché non sarebbe più possibile riavviare una macchina con quasi 40 km di cavi di rame avvolti in fibra di vetro ormai fragilissimi, tutti tessuti a mano. Così, un tesoro del “made in Italy” tecnologico e di design rimane appeso alla buona volontà di qualche volontario, alla disponibilità di un ITIS di provincia e al disinteresse pressoché assoluto d’istituzioni e aziende.