Città e cittadinanza al tempo di Facebook

Social street e bilanci partecipativi accorciano le distanze tra i cittadini, e tra questi e le amministrazioni. Ecco cosa succede a Barcellona, Helsinki, Milano e Parigi.

Parigi, Budget Partecipato. Riqualificazione dello skate-park opera dell'artista Peter Kogler.  Foto François Grunberg / Mairie de Paris

Che uso fanno le città dei social e della Rete? Il report annuale di Icity Lab, piattaforma italiana di supporto alle pubbliche amministrazione e ai cittadini interessati a rendere le città più intelligenti (cioè più vivibili, sostenibili, inclusive e competitive), ci racconta come Facebook sia il social più amato dalle città italiane, seguito da Twitter e YouTube. Ben 85 dei 110 comuni capoluogo, hanno infatti scelto Facebook come proprio canale di comunicazione principale per segnalare eventi e iniziative. A Twitter il compito di rilanciare i contenuti, a YouTube quello di rendere accessibili le sedute dei Consigli comunali.

affresco di Zag & Sia nel XVIII arrondissement di Parigi, uno dei progetti laureati sul tema della riqualificazione dei muri ciechi con interventi di Street Art. Foto François Grunberg / Mairie de Paris
Parigi, Budget Partecipativo. In apertura: riqualificazione dello skate-park opera dell'artista Peter Kogler. Qui sopra: affresco di Zag & Sia nel XVIII arrondissement di Parigi, uno dei progetti laureati sul tema della riqualificazione dei muri ciechi con interventi di Street Art. Foto François Grunberg / Mairie de Paris

Un po’ poco, per la verità, rispetto alle potenzialità di questi canali: in primo luogo, proprio quella di andare oltre il broadcasting (la trasmissione unidirezionale), aprendo alla possibilità del dialogo. Su Twitter, per esempio, lo stile comunicativo delle amministrazioni è valutabile dal rapporto following/follower: in media 1 a 10, per le 73 città che usano la piattaforma. Un livello di engagement ancora troppo basso per una cittadinanza virtuale che mostra invece segni crescenti di vitalità.

È il caso per esempio delle “social street”, numerose a Bologna, Roma, Palermo e Milano. Il principio è semplice: una pagina Facebook diventa luogo d’incontro virtuale tra chi vive sulla stessa strada, l’interazione online permette di condividere le iniziative (come una partita di pallone) o la soluzione di problemi pratici (come trovare una babysitter). Ma dal virtuale al reale il passo è breve e un post può diventare luogo di discussione di un progetto dell’amministrazione sul quartiere o, passo successivo, proposta all’amministrazione di un progetto. È questo il caso della social street di via Morgagni a Milano che, rispondendo al bando per il bilancio partecipativo del Comune, ha elaborato un’idea di progetto per la riqualificazione di piazzale Bacone, luogo nodale ma trascurato del quartiere. Come in molti altri progetti proposti dal basso, l’esigenza principale è quella di un intervento sulla mobilità a favore di spazi per la comunità: messa in sicurezza degli attraversamenti pedonali e ciclabili e costruzione di una piattaforma in legno con attrezzature per lo sport.

È così che i social accorciano le distanze: tra i cittadini, e tra questi e l’amministrazione. Può sembrare banale, ma si tratta di una rivoluzione che chiama in causa il senso stesso della cittadinanza. Perché l’idea del cittadino come destinatario e consumatore di servizi diventa obsoleta in uno scenario in cui è facile organizzarsi e (potenzialmente) dialogare con l’amministrazione: fare delle proposte e condividere delle scelte. La prima grande spinta propulsiva all’apertura delle istituzioni ai cittadini, arriva nel lontano 2009 dalla direttiva sull’Open Government del Presidente degli USA Obama. La direttiva richiede trasparenza e partecipazione attraverso la condivisione di “open data”. Il sito Data.gov raccoglie per la prima volta in un unico portale tutte le informazioni rese disponibili dagli enti statunitensi, rendendole utilizzabili dai cittadini e dalle imprese, incrementando la trasparenza e il coinvolgimento di tutti gli stakeholder alla vita pubblica.

Lavori in corso per realizzare un giardino condiviso sul tetto del liceo Ortolan, rue Ortolan 18, a Parigi
Lavori in corso per realizzare un giardino condiviso sul tetto del liceo Ortolan, rue Ortolan 18, a Parigi

Da allora, il tema della digitalizzazione delle città e della loro “apertura” amministrativa incalza le città in giro per il mondo. È così che lo strumento del budget partecipato diventa uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Anne Hidalgo che, dal 2014, lo utilizza per co-progettare con i cittadini le politiche pubbliche della città, destinando loro il 5% del budget del Comune (circa 100 milioni di euro all’anno). Nel 2016, sono stati 3.158 i progetti inviati alla piattaforma, circa 160.000 i votanti e oltre 200 i progetti laureati. Ambiente (a partire da tetti e pareti verdi) ed economia circolare, solidarietà, mobilità, scuole e cultura, i temi di progetto.

A Helsinki, altra città-faro della politica open data, la città propone la “Future City Challenge”: una competizione rivolta a imprese, start-up e chiunque sia interessato a risolvere sfide urbane, con l’obiettivo di trovare soluzioni innovative e applicazioni che semplifichino la vita quotidiana dei cittadini.

Anche Barcellona si muove nella stessa direzione con il piano Barcelona Digital, che mette al centro un’idea nuova di “impronta digitale”. L’impronta che i cittadini lasciano ogni giorno online è infatti riconosciuta come un bene comune, in gran parte nelle mani di poche multinazionali. Obiettivo del piano è dunque reclamare i dati di questa impronta comune e la conoscenza cruciale che essa può produrre per affrontare in modo innovativo le maggiori sfide urbane: dall’alloggio alla mobilità, all’inclusione sociale. Per questo, la città si impegna a pubblicare online le “sfide urbane” che l’amministrazione intende affrontare. Ai cittadini (e alle loro imprese) verrà chiesto di collaborare, cercando soluzioni proprio a partire dall’impronta digitale.

La Rete come nuova agorà urbana conferma così il proprio potenziale come strumento di democrazia. La sfida però è più che mai aperta: secondo l’ultimo rapporto del Credit Suisse la forbice della ricchezza continua infatti a estremizzarsi con l’1% dell’umanità che arriva a concentrare la metà di tutta la ricchezza. I cittadini digitali riusciranno a ribellarsi ai signori della Rete e a redistribuire davvero la ricchezza sulle loro città?

Ultimi articoli di Design

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram