Negli ultimi cinque anni, la scienziata dei materiali Debbie Chachra, del New England Olin College of Engineering, ha lavorato su ciò che è conosciuto come “plastica di ape”: un biopolimero simile al cellophane prodotto naturalmente dall’Inaequalis Colletes, una specie di api nativa del New England.
Questa plastica biodegradabile resistente agli agenti atmosferici potrebbe forse un giorno essere usata come alternativa biologica alle materie plastiche industriali che usiamo oggi – sostiene Chachra – consentedo la produzione di moltissimi oggetti, dalle forniture per ufficio ai paraurti. Le implicazioni del suo lavoro – che i parenti addomesticati di queste api pssano in futuro effettivamente utilizzare i propri corpi come stampanti 3D, producendo intere carrozzerie, piani cucina, parti architettoniche e altri prodotti di uso quotidiano, privi di combustibili fossili – è al tempo stesso straordinaria e promettente per l'ambiente.
Tuttavia, la tentazione di scoprire quello che potrebbe essere possibile attraverso la modificazione genetica di queste creature appare anche moralmente inquietante.
Ricordiamo, per esempio, che l’esercito americano, in collaborazione con Nexia Biotechnologies, ha avuto successo nel suo tentativo di modificare geneticamente una capra in modo che il suo latte contentesse proteine di seta di ragno.
L’obiettivo finale di queste “Biosteel goats”, come vennero denominate, è stato quello di generare un super-fibra infrangibile che possa essere utilizzata in futuro nell’attrezzatura militare; tuttavia, altri hanno ipotizzato la realizzazione di ponti, strutture spaziali e altre infrastrutture urbane tessute da capre.
La chiara implicazione di questo è che forme architettoniche inedite e altre possibilità di design emergeranno dalle collaborazioni con gli organi di animali geneticamente modificati – ma la nostra etica ha disperatamente bisogno di tenere il passo.
Nel 2011, ispirato da questi e altri esempi, insieme al designer John Becker, ho deciso di esplorare una serie di scenari scientifici-immaginari in cui le api sono state geneticamente modificate per produrre un adesivo strutturale resistente alle intemperie, simile al calcestruzzo, piuttosto che il miele.
In questo scenario, una nuova specie di api urbane chiamata Apis caementicium – ape cementizia – è stato messa in campo come strumento biologico a basso costo per la riparazione di statue e ornamenti architettonici, ma anche la produzione di intere strutture, come le cattedrali.
Alle api verebbe dato un telaio tridimensionale all’interno della quale effettuare la loro fabbricazione guidata – vale a dire, la stampa 3D di nuove forme architettoniche e scultoree. Questo potrebbe includere, ad esempio, i leoni di pietra della New York Public Library: danneggiati dall’esposizione e dal contatto umano, quelle sculture potrebbero essere riparate da una famiglia di api che lavorano all’interno di uno stampo esterno.
Il risultato è un racconto illustrato che esplora le implicazioni etiche della modificazione genetica, le conseguenze ecologiche delle specie ingegnerizzate che scappano verso la natura e le possibilità architettoniche che derivano dalla collaborazione con animali come questi.
Non si tratta di una proposta di design, ma di uno scenario narrativo interdisciplinare sviluppato per il suo potenziale estetico e, in molti casi, per le sue ripercussioni etiche profondamente problematiche.
Alla fine, che cosa significa lavorare in modo umano con strumenti di progettazione biologici? È possibile la collaborazione genetica con altre specie senza che si sviluppi una forma di sfruttamento industriale? Se dovremo davvero, un giorno, risolvere questo dilemma morale, quali nuove possibilità architettoniche potrebbero sorgere?
Architecture-by-Bee
Progetto: Geoff Manaugh e John Becker