Circa vent'anni fa, Richard Sapper andò a trovare Dieter Rams. "Stavamo parlando di quel che ciascuno di noi stava facendo", racconta Sapper, "e a un certo momento Dieter dice: 'Beh, stai facendo parecchie cose molto vicine a quel che facciamo noi, ma le tue sono molto più entusiasmanti'". Sapper, ottantenne, si appoggia alla spalliera del divano e sorride. Non sono sicuro che il complimento di Rams fosse proprio tale. 'Entusiasmante' non ci sta granché bene nel codice di Rams, accanto al suo lessico puritano di 'meno', 'meglio', 'schietto' e 'utile'. Ma Sapper mi racconta l'aneddoto per rispondere a una mia considerazione: un'osservazione intellettuale, la ragione per cui ho deciso di andarlo a trovare nel suo appartamento milanese. Le cose stanno così. Negli anni Settanta e Ottanta, l'anima del design industriale era nelle mani di due tedeschi: uno era un minimalista che riduceva i prodotti a gusci seducenti dall'aspetto liscio e, talvolta li battezzava con soprannomi come "la bara di Biancaneve"; l'altro, anziché nascondere la loro natura tecnica, la svelava. I suoi prodotti erano neri e squadrati, possedevano raffinate parti mobili e ostentavano la loro tecnicità. Evito di riferire a Sapper che mi figuro uno di questi personaggi come Obi-Wan Kenobi e l'altro come Dart Fener, perché potrebbe suonare un po' offensivo.
Va da sé che una di quelle impostazioni ebbe tanto successo da diventare un dogma del design. La ripresa dell'estetica di
Rams da parte di Apple ha trasformato il minimalismo della Scuola di Ulm, via Cupertino, in una forma di ortodossia progettuale mondiale, al punto che i concorrenti di Apple sono ridotti a cercar di capire quanto possono imitare il suo design senza farsi trascinare in tribunale. Se esistesse un'altra strada, un'eterodossia, potrebbe essere quella di Sapper?
Sindrome da scatola nera
È difficile pensare a un oggetto su cui Richard Sapper non si sia mai cimentato. Il suo lavoro tocca la vita di milioni di persone, ma lui mantiene un profilo basso e continua a lavorare. Justin McGuirk è andato a trovarlo nella sua casa milanese.
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- Justin McGuirk
- 18 febbraio 2013
- Milano
Sapper non ha l'aria sacerdotale di Rams, non ha in mano le tavole della legge; sul suo lavoro ci sono pochi libri e mantiene un profilo basso. Ma è stato prolifico. In una carriera che abbraccia sei decenni, ha progettato di tutto: dalle automobili ai computer, dai mobili ai televisori, dai bollitori alle grattugie da formaggio. Non si sa se questa varietà oggi sarebbe ancora possibile. Ha perfino progettato la prima sedia interamente di plastica (la seggiolina per bambini della Kartell, con Marco Zanuso, nel 1964). Il suo prodotto più celebre, in termini di assoluta ubiquità, probabilmente è il portatile ThinkPad IBM, progettato nel 1995 quando era il più importante consulente per il design del gigante dell'informatica, ruolo che conserva ancor oggi. Tra gli intenditori di design, però, forse i progetti più noti sono le sue radio e i suoi televisori per Brionvega, il suo bollitore fischiante per Alessi oppure, più probabilmente, la lampada Tizio per Artemide.
Progettata nel 1971, la Tizio fu la Anglepoise di un'era tecnologica più progredita. I suoi bracci bilanciati le permettevano di spostarsi sù e giù come una pompa per l'estrazione del petrolio, ma con più eleganza. In parte strumento scientifico, in parte giocattolo per dirigenti, era la scorciatoia per far apparire all'avanguardia un ufficio. Questi meccanismi mobili sono uno dei campi di ricerca preferiti di Sapper. Mi mostra una macchina per il caffè con delle parti mobili, una sedia pieghevole di cuoio per B&B Italia e una serie di bracci regolabili per monitor da computer, che progetta tuttora per Knoll. "Tecnicamente sono molti complessi. Queste forme mobili mi interessano perché cambiano sagoma mentre si muovono", dice, riuscendo a essere profondo nonostante l'ovvietà dell'affermazione.
A differenza di Rams, lo stile di Sapper è più difficile da identificare. Ma un particolare, che è la firma di Sapper, c'è. Benché il corpo sia nero, i giunti della Tizio sono di un rosso brillante: un tocco che ricorre in parecchi altri prodotti, dalla levetta rossa della sua sedia da ufficio nera al tasto che fa da mouse nel suo portatile ThinkPad. È il punto più prossimo all'estetica che Sapper abbia raggiunto.
Siamo seduti sotto una Tizio, a conversare nell'appartamento zeppo di libri di Sapper, di fronte a un angolo del Castello Sforzesco. L'alogeno della lampada ronza in modo preoccupante, ma non lo faccio notare. In jeans e camicia in tinta, Sapper ha la presenza fisica d'un omone che gli anni hanno reso compatto. È gentile, ma non tanto da prendere in mano la conversazione. Non gli piace interpretare la sua opera e crede fermamente che i prodotti parlino da sé. Quando gli chiedo che cos'ha di speciale la SapperTM Chair per Knoll, risponde: "Questo sta a te dirlo!". Quando gli chiedo perché la sua scrivania è montata su coni stradali risponde: "È uno scherzo". Ma mi racconta qualche episodio poco noto.
In una carriera che abbraccia sei decenni, Sapper ha progettato di tutto: dalle automobili ai computer, dai mobili ai televisori, dai bollitori alle grattugie da formaggio.
Primo racconto. La Sapper(TM) Chair è nata dal senso di colpa. Fu progettata nel 1970, all'incirca quando Sapper era consulente della Fiat. Aveva proposto una concept car con i paraurti di plastica, invece che di metallo, e la Fiat, benché non mettesse in produzione l'auto, adottò quel paraurti in tutti i modelli. Il che voleva dire che la fabbrica torinese che produceva i paraurti di metallo era destinata al fallimento. "Avevo rovinato la fabbrica e perciò pensai che, se riuscivo a usare una tecnologia analoga per costruire la struttura di una sedia per ufficio, potevo usarla per costruire la mia sedia della Knoll", racconta Sapper. Il che certamente spiega perché, di fatto, la Sapper(TM) Chair sembri un sedile da automobile. È certamente una sedia da sala riunioni, ma ha un'aria da guida disinvolta, con i braccioli che sembrano leve del cambio. Il carattere mascolino è presente in tutti i suoi progetti più importanti. Ma quel che mi interessa di Sapper è la sua tendenza a progettare scatole nere. Negli anni Sessanta, progettò numerosi televisori per Brionvega con Marco Zanuso, con il quale collaborò per oltre dieci anni. Erano compatti e piacevoli, ma in una maniera formosa, spiccatamente anni Sessanta. Poi, nel 1969, realizzarono il televisore Black 201, sempre per Brionvega, ma questa volta molto diverso. Era un cubo nero. Si direbbe che sia un televisore, ma uno che fa a meno di tutti i suoi stilemi per offrire quel che era ostentatamente un frammento di tecnologia, invece che un oggetto di vita quotidiana.
Siano ben lontani dall'amichevole fascino degli elettrodomestici di Rams per la Braun. Quest'oggetto è più imperscrutabile, più misterioso. Uscito un anno dopo 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, il 201 evoca (volente o nolente) il celebre monolite nero del film. Preannuncia un'era in cui la forma degli apparecchi tecnologici non avrebbe svelato nulla delle loro funzioni, in cui i meccanismi interni avrebbero potuto essere magici e, quindi, la loro carrozzeria avrebbe potuto diventare un oggetto di devozione, un'era che culmina nella madre di tutti i monoliti neri: l'iPhone 5. Nel gergo degli ingegneri, una "scatola nera" è un'apparecchiatura il cui funzionamento non è trasparente e si può leggere solo in termini di input e output. Non è subito evidente quale faccia del 201 sia lo schermo ma, se lo si accende, l'output fa la sua comparsa. L'elemento sorpresa viene suffragato in una serie di prodotti successivi. Lo Stopwatch della Heuer Electronics (1974) è anch'esso una scatola nera, finché non si alza il coperchio rivelando un display digitale con tre pulsanti. Lo si può considerare l'embrione del portatile Leapfrog per IBM (1989) e, poi, del più celebre ThinkPad. Sono tutti scatole nere: massicci (non essendo ancora i microprocessori poi così micro) e opachi, finché non li si spezza aprendoli. Sapper stesso è una specie di scatola nera, nel senso dei registratori dei dati di volo che si salvano negli incidenti aerei: le informazioni bisogna cavargliele a poco a poco, un aneddoto per volta.
Secondo racconto: il pulsante rosso del TrackPoint del ThinkPad è di un rosso particolare. "All'inizio ibm lo voleva nero, come la tastiera, ma ho detto di no: ha una funzione differente rispetto ai tasti, e allora diamogli un colore diverso". Scelse lo stesso rosso dei giunti della Tizio, ma per le norme industriali tedesche il rosso era riservato agli interruttori d'emergenza. Sapper non lo sapeva. Presentarono il ThinkPad ad Hannover e la polizia lo sequestrò. Sapper cambiò un pochino il rosso. Oggi il ThinkPad viene fabbricato dalla cinese Lenovo, per la quale Sapper è consulente, benché continui a prestare la sua opera all'ibm per i grandi calcolatori. La sua lunga collaborazione con IBM (dove segue le orme di Eliot Noyes e di Norman Bel Geddes) fa supporre che debba sapere che cosa succede dentro quelle scatole nere. Mi vien da pensare che se IBM fosse stata la Apple, Sapper sarebbe diventato Rams. Su una credenza c'è una foto di suo padre in uniforme, durante la Prima guerra mondiale.
Era tedesco, ma nato in Guatemala. "I miei parenti, per metà, sono ancora in Guatemala", spiega. Ripercorrendo a ritroso la carriera di Sapper, si scopre che ha fatto l'apprendistato sotto Gio Ponti, ma prima aveva lavorato alla Mercedes, e prima ancora aveva studiato filosofia con il filosofo e teologo Romano Guardini. Racconta un aneddoto che cita spesso su come Guardini gli diede la sua benedizione quando scelse il mestiere di designer. Prese un vasetto di Venini e disse: "Tutte le volte che lo guardo mi dà gioia e quindi è certamente una professione sensata, perché dà gioia alle persone". La bellezza è qualcosa su cui Sapper continua a ritornare. Sono sorpreso, perché la tecnomascolinità delle sue scatole nere sembra muoversi su un piano diverso, sembra riguardare qualcosa di più del semplice gusto. In un'epoca di iperconsumi è ancora sufficiente far belle le cose? "Ci sono tanti prodotti brutti che si vendono benissimo", risponde. "La maggior parte delle automobili è orrenda, ma le comprano lo stesso. Le scarpe da corsa, di recente, sono migliorate, ma solo due o tre anni fa erano la quintessenza del brutto!". Ha ragione: ha ancora del lavoro da fare. Justin McGuirk. Critico di architettura e design