Nella macchina c'è qualcosa di più della funzionalità. Nell'Ottocento i luddisti la consideravano il peggior nemico dei lavoratori: la macchina era una minaccia impersonale, senza riguardi per le masse affamate e i lavoratori – per tutelare la necessità della loro presenza e il nutrimento delle loro famiglie – si diedero a distruggere fisicamente la tecnologia che stava producendo una trasformazione sociale irreversibile.
Macchine diverse, tuttavia, innescano trasformazioni diverse. Poiché l'industria manifatturiera non è più predominante come un tempo, oggi l'innovazione può aprire nuove occasioni per il futuro invece che negarle. Naturalmente, si tratta di un punto di vista ottimista, ma devo ammettere che una mostra come "The Machine" segna un buon punto a sostegno di questa posizione. Ambientata in una zona mineraria di recente ristrutturata, trasformata oggi in un polo della creatività battezzato C-Mine – che ha gareggiato per numero di visitatori con la più carismatica location del Watershei di "Manifesta 9" – la mostra è il primo progetto in collaborazione con Design Hub Limburg.
La mostra è a cura di Jan Boelen, direttore artistico del centro d'arte contemporanea Z33 di Hasselt e offre un solido inquadramento per comprendere alcune delle trasformazioni più spettacolari del design di oggi insieme all'occasione di interagire direttamente con esse. I temi vanno dalle conseguenze di tecnologie digitali come le stampanti tridimensionali a basso costo e le piastre Arduino, al recupero delle riparazioni alla vecchia maniera, dalla decostruzione della produzione degli oggetti alla nuova domanda di partecipazione e di libero sfruttamento delle idee. La principale affermazione di fondo, tuttavia, è che il rapporto tra progettista e utente è cambiato in meglio e che non ci sono giustificazioni per ignorare le implicazioni politiche ed economiche che ne derivano.
In mostra i progetti di carattere più spiccatamente tecnologico sono probabilmente Computer Augmented Craft di Christian Fiebig e Haptic Intelligentsia di Joong Han Lee (Studio Homunculus). Il primo registra le fasi della produzione di un oggetto attraverso una webcam, suggerendo al progettista possibili alternative formali; l'altro permette all'utente di interagire con la stampa tridimensionale di un oggetto virtuale tramite un estrusore portatile. Se queste due opere cercano di accorciare la distanza tra automazione e artigianato, entrambi i contributi alla mostra di Mischer'Traxler cercano di conferire un tocco di unicità a oggetti creati meccanicamente, e documentano il loro processo creativo trasformandolo in infografica analogica.
The Idea of a Tree stampa colori differenti sulla superficie del prodotto, seguendo le variazioni dell'energia solare nei dintorni della macchina, mentre Collective Works attiva il suo meccanismo rotatorio solo quando c'è un pubblico che osserva, realizzando l'oggetto in colori diversi secondo il numero degli spettatori. Per chi avesse ancora dubbi sull'importanza della stampa tridimensionale Kiosk di Unfold offre una sintesi della futura ubiquità di questa tecnologia allestendo una copisteria 3D: un centro di produzione su ruote.
La nuova rivoluzione industriale
La mostra "The Machine" a cura di Jan Boelen, direttore artistico del centro d'arte contemporanea Z33 di Hasselt, offre un solido inquadramento per comprendere alcune delle trasformazioni più spettacolari del design di oggi.
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- Nicola Bozzi
- 27 settembre 2012
- Genk
Mentre molti progetti in mostra hanno adottato impieghi tecnologici non ancora disponibili fino a pochi anni or sono (gli schermi azzurri ricorrenti nell'allestimento della mostra sono una sottile allusione ai film di fantascienza), altri erano esplicitamente alla ricerca di una continuità con il passato e di una prospettiva più lenta e conservatrice. Per esempio, Repair It Yourself di Eugenia Morpurgo fornisce ai visitatori tutto il necessario per riparare un paio di scarpe: normali calzature analogiche. Il progetto fa leva sulla diffusione della cultura del fai-da-te (o meglio del "ripara da te", come dice il titolo) che gravita intorno a comunità di condivisione online di saperi come eHow e Instructables.
In sintonia con il proprio tempo, Repair It Yourself incoraggia il pubblico a partecipare attivamente e a realizzare un proprio manuale d'istruzioni in video. Un altro dei temi centrali di "The Machine" è la delega dell'autorialità nel processo progettuale. Ciò significa non solo partecipazione e creatività che nasce dalla base, ma anche l'introduzione tra i fattori della casualità. Design and Chaos e The Group Project di Itay Ohaly coinvolgono entrambi più progettisti diversi in un lavoro simultaneo e all'oscuro del operato altrui, per approdare a un risultato parzialmente casuale. OpenStructures di Thomas Lommee è invece un sistema di costruzione modulare (un "Meccano collettivo") che, ispirandosi alle architetture aperte di Internet, invita i progettisti a conferire a una comunità i loro pezzi. L'uso di regole comuni rende compatibili tutti gli oggetti, mentre la condivisione di tutti i progetti sul relativo sito web rende trasparente il processo (in mostra c'è un OS Waterboiler di Lommee e Jesse Howard).
I temi vanno dalle conseguenze di tecnologie digitali come le stampanti tridimensionali a basso costo e le piastre Arduino, al recupero delle riparazioni alla vecchia maniera, dalla decostruzione della produzione degli oggetti alla nuova domanda di partecipazione e di libero sfruttamento delle idee.
Anche il riciclo di materiali non convenzionali è una prassi diffusa tra i partecipanti, sempre in una prospettiva di provocazione e di trasformazione sociale più che di interesse funzionale.
Botanica di Formafantasma svela l'inatteso potenziale tecnico dei polimeri naturali, mostrando oggetti che hanno origine dalla gomma naturale, dalla segatura, dal sangue animale e dalla resina vegetale, mentre Sofie Lachaert, con Geld, trasforma il denaro in forme più utili dal valore stabile.
La funzione cede invece il passo alla metafora con The Metabolic Factory, in cui Thomas Vailly trasforma i propri capelli in un materiale simile al cuoio miscelandoli con glicerina e solfito di sodio (se vi sembra un po' eccessivo ancor più perplessi vi lascerà la Spiderfarm in cui Thomas Maincent mette a lavoro dei ragni per produrre un filato per uso umano).
Sia detto a suo merito, la mostra riesce a essere un elogio dell'innovazione pur rimanendo critica e perfino gradevole. Molti dei progettisti presenti sono laureati della Design Academy di Eindhoven, dove Boelen tiene un master in Design sociale, e nel catalogo il curatore svela che uno dei motivi ispiratori ideali della mostra è stata la tesi Design for a New Consumer del 2010, di Tal Erez. Nell'ambito di "The Machine" il giovane israeliano presenta una serie di cartelloni di protesta con titoli come "Consumatori unitevi!" e fotografie in bianco e nero di manifestazioni operaie di protesta sul retro: provocazione esplicita che cerca di collegare due aree completamente diverse. Se questo progetto affronta la ristrutturazione dell'economia in maniera alquanto retorica, Hacking Hope di Juan Montero Valdes mostra al visitatore quanto sia facile stamparsi delle banconote usando esclusivamente apparecchi domestici.
Secondo Boelen, grazie al "fai-da-te 2.0" il futuro sarà materiale e contemporaneamente immateriale. L'oggetto fisico è individuale, ma l'informazione è condivisa con tutti, il che comporta dei rischi. Ovviamente realtà come la piastra Arduino e RepRap (e i FabLab) permettono ai progettisti di aggirare il ruolo dei tecnici e delle grandi aziende, ma con la stampa tridimensionale ci si può anche fare un fucile in casa e, con qualche nozione di chimica pratica, è anche possibile produrre droghe in proprio. Come dice il curatore il progettista è colui che rende evidente il cambiamento, e per questo motivo il progetto è più politico che mai. Di conseguenza sia i progettisti sia i consumatori devono diventare politicamente consapevoli.