La natura ha quindi fornito un antidoto allo storicismo e un'opportunità all'astrazione formale di fine Ottocento; un modello per il vivere 'organico' integrato del secondo dopoguerra e, più recentemente, un paradigma per l'uso ottimale dei materiali. Nel mio ambito di lavoro, al Museum of Modern Art, tra le interpretazioni fornite dai diversi curatori nel corso degli anni, ho sempre trovato particolarmente interessanti quelle di Eliot Noyes, che nel 1941 vedeva il design organico come una profonda e proficua integrazione della macchina nella vita dell'uomo (organico come armonico, equilibrato ed efficiente) e quelle proposte nel 1944 da Serge Chermayeff e René D'Harnoncourt. Scrivono, infatti, Chermayeff e D'Harnoncourt: 'dato che lo scopo del design organico [visto come integrazione organica di funzione, tecnologia, e forma] è offrire alla gente migliori strumenti per vivere, la sua applicazione presuppone un'attitudine responsabile verso la società sostenuta da un codice deontologico paragonabile a quello della scienza e della medicina'. Quest'ultima interpretazione potrebbe oggi riassumere le nostre ambizioni verso la sostenibilità, e invero il design organico contemporaneo non solo abbraccia l'esplorazione entusiastica di forme e strutture (facilitata dall'uso di computer e dall'integrazione di funzioni consentita dalla tecnologia wireless) ma anche l'interpretazione dei modelli economici della natura, nel tentativo d'imparare non solo come costruire meglio, ma anche a fronteggiare l'esaurimento delle risorse a livello planetario.
Il design organico abbraccia anche l’interpretazione dei modelli economici della natura nel tentativo d’imparare a fronteggiare l’esaurimento delle risorse a livello planetario.
Paola Antonelli, Critico e curatore, MoMA