Il design è vita, e quindi è storia. Immerso nella condizione umana, la precede idealmente di qualche passo (rivelando così la sua natura di atto politico). Segue il corso degli eventi, e nei momenti cruciali è obbligato a prendere il comando per indicare al mondo un differente percorso evolutivo. È un tema sul quale, come si sa, Ettore Sottsass si è espresso senza mezze misure dichiarando, alla fine degli anni Sessanta, che il design "è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita".[1] Ed effettivamente, in diversi momenti e sotto l'egida di differenti manifesti, l'architettura e il design hanno alzato bandiera rossa (mai bianca!) e proposto con creatività delle correzioni di rotta.
Molto prima che il termine Design Radicale giungesse a definire il movimento italiano degli anni Sessanta, l'architettura e il design avevano fatto appello a una rottura col passato e proposto modi completamente nuovi di vivere, progettare e costruire. Gli anni Sessanta hanno assistito al moltiplicarsi di straordinari esercizi di utopia, capaci di rivaleggiare con la migliore letteratura e col miglior cinema non solo in termini di valori di produzione-design, ma anche per immaginazione filosofica. Dalle città parlanti di Archigram, che respiravano e camminavano, all'esistenzialismo pneumatico immaginato dal gruppo viennese Haus-Rucker-Co (una dilatazione dei confini mentali) via via fino alle slanciate megastrutture di Superstudio e Archizoom, svettanti sulla natura e sulla storia, i tardi anni Sessanta hanno rappresentato il trionfo dell'utopia creativa. Ciò nonostante, negli anni Settanta, periodo segnato dalla violenza e da una crisi di livello mondiale, costruire sul passato senza cancellarlo non pareva possibile. Persino i sognatori del decennio precedente piegavano verso la metafore di un fuoco catartico e purificatore, dai californiani della Ant Farm, meglio conosciuti per la Cadillac che si schianta contro un muro di televisori in fiamme (1975), fino all'indimenticabile pira della sedia Lassù concepita nello stesso anno da Alessandro Mendini.
Il processo di Critical Design non porta immediatamente a oggetti utili, quanto piuttosto a spunti di riflessione
1. Come riporta Peter Dormer, What is a Designer?, in Design Since 1945, Thames and Hudson, London 1993, p. 10.
2. Una pagina esaustiva di FAQ sul Critical Design
3. Anthony Dunne and Fiona Raby, Between Reality and the Impossible (Entre la Réalité et l'impossible), in Téléportation, catalogo della Saint-Étienne International Design Biennal, 2010, p. 105.