“Il clima è eccezionale così che Capri, tanto famosa per il suo sole, trova qui una rivale. Soprattutto le coste a sud che ora sono quasi selvagge, potranno ospitare anche d’inverno coloro che prediligono in ogni stagione il tepore Mediterraneo”, scrivevano qualche decina di anni fa con modernista fede nella scienza Gio Ponti e i BBPR, già forse consapevoli però anche loro di un fatto: che l’Elba, Capri, non lo è.
Già da inizio Ottocento, quando attorno ai Faraglioni tornavano a ruscellare i più pasciuti rampolli di mezza Europa, impegnati nelle ultime stagioni del Grand Tour – ripreso dopo violente pause belliche – all’Elba veniva spedito invece un solo ingombrante inquilino, che di quella pausa era responsabile, e che per questo suo ingombrare non nomineremo, almeno per ora.
Vuoi quindi per la sua natura produttiva – le miniere, le coltivazioni – vuoi per una componente percettiva – chi la frequenta da decenni, pur non essendoci nato, ci parla di un pezzo di Toscana, più che di un’isola Mediterranea quale in effetti sarebbe – il monumentale metafisico scoglio ferroso al largo di Piombino oppone una resistenza attiva a ogni pianificato tentativo di inserirlo in qualsiasi predatorio flusso turistico di massa, non parliamo poi di immaginari da celebrity – o jet set, come si confà ad un articolo d’archivio – o da irraggiungibile scintillante paradiso per pochi. Non è Capri, ma neanche Punta Ala o la Gallura. È l’Elba.
Domus ha seguito molti di questi tentativi, e molto da vicino.
Nel 1940 Gio Ponti presentava uno studio dei BBPR – con Rogers costretto alla rimozione dalle leggi razziali – per potenziare l’Elba come perla turistica di un’italia futura (Domus 152, agosto 1940). Fatta la necessaria tara al contesto storico di un’Italia che, nell’ufficialità, ancora si trovava ad assecondare un delirio di grandezze espansionistiche mentre stava invece imboccando la discesa finale del suo ventennio più buio, lo studio dei BBPR è un progetto di ricerca intimamente ed entusiasticamente moderno, irto di dati e schemi, anzi: utilizza dispositivi visuali come comparazioni di scala, collage e infografiche – di pesci, di coste e di rocce – che anni dopo avrebbero conosciuto grande fortuna; racconta un’Elba pianificata e pianificabile, dove accanto ai progetti di strategia e infrastrutture trovano spazio anche alcuni nuovi, razionali insediamenti, come quello al golfo della Biodola.
Peccato che, di questa pianificabilità per la massa, l’Elba non rechi traccia alcuna. Le storie che ci si incontrano hanno la cifra dell’insospettabile unicità, come quella dello Schiopparello, il catamarano che porta a Piombino oggi, ma che è nato e cresciuto nei suoi primi 20 anni in Connecticut. O quella delle cabine da spiaggia che ispireranno l’archetipo metafisico per eccellenza del design italiano, la Cabina dell’Elba pensata nel 1980 da Aldo Rossi. Niente storie di celebrità chiassosa si diceva – mai ci si è letto di ville acquistate dai Jenner o Kardashian di turno: è più probabile che le celebrità del caso siano o ben fortificate in ville ben defilate, o al bar di qualche porticciolo, intente a giocare a calciobalilla.
Era già stato il caso della villa che il couturier francese Pierre Balmain – mentre era impegnato a ribaltare i canoni della moda per il decennio a venire – si faceva progettare da Leonardo Ricci nel 1959 (Domus 354, maggio 1959): la forma è marziana ma organica, un’eccezione che con l’isola crea un dialogo formale e spaziale tutto suo quindi, in parole poverissime, ci sta.
Come ci starà anche l’artista-architetto radicale Gianni Pettena, circa dieci anni dopo, con la sua casa minimale, nascosta nei boschi, la sua prima architettura costruita, fatta di un’alchimia di materiali poveri e iperespressivi allo stesso tempo: un lavoro in cui coinvolge gli amici – Sottsass, Marano, Branzi – e che fa parlare Franco Raggi di “misurata inappariscenza dentro la quale covano come braci segni e idee che riguardano spazio, materie e uso”. (Domus 944, febbraio 2011)
È questione di stare ad una legge non scritta, di armonizzarsi con la natura di un luogo che se ha indubbiamente un’altra idea di vita, è proprio nella materia che è differente, è l’acqua delle sue cale ed è la pirite delle sue miniere, che l’artista Giò Pomodoro incastona nei suoi gioielli del 1962 (Domus 386, gennaio 1962): si può sublimare meglio un luogo in un oggetto?
Ed è così che negli anni ‘60 assistiamo anche a due grandi ritorni. Ecco Gio Ponti, il Ponti, delle ville e dei cristalli, che a Capo Perla realizza la Villa Ottagonale e la Villa Allungata, praticamente due sintesi della sua poetica oltre che due gioielli off-scale – oggetto e paesaggio di nuovo sono legati indissolubilmente, come con l’altro Giò, quello accentato, quello dei gioielli – già concepite come volumi tutti spigoli e non come facciate – osserverà Marco Romanelli – come punto di arrivo di anni passati tra disegni pieni di ipotetici tracciati sui quali gli abitanti si spostano tra “castello delle acque e delle luci”, “finestra arredata”, “fiume d’erba”, “letti di muro”, “poltrona di poco sedile” e, qui, “finestre sul paradiso”. (Domus 732, novembre 1991).
È questione di stare ad una legge non scritta, di armonizzarsi con la natura di un luogo che se ha indubbiamente un’altra idea di vita, è proprio nella materia che è differente.
Ecco poi i BBPR, che con Pietro Porcinai tornano sull’idea dell’insediamento turistico (Domus 367, giugno 1960), e questa volta al Capo di Stella si fondono con la roccia, seguono topografia e ritmo e concepiscono una matrice teoricamente estendibile all’infinito, che oggi ci lascia l’albergo che prende il nome dal luogo. In questo ritorno c’è dialogo, e la forma architettonica trova finalmente il suo posto.
Più difficile potrebbe invece essere trovarne uno per i pilastrini e i fascioni colorati in cemento vibrapac che Gabetti e Isola distribuiscono poi a fine anni ’80 al fondo della piana di Bagnaia con il loro complesso Villa Sant’Anna (Domus 749, maggio 1993) ma anche lì l’isola e il dialogo fanno il loro lavoro, plasmandone una cascata di terrazzi sospesi e metafisici quanto una miniera in pausa.
Dopo i vari ritorni, a questo punto, si può allora nominare il famoso inquilino ingombrante, che invece non è mai tornato: in termini d’esilio, Napoleone Bonaparte in effetti si sarebbe potuto risparmiare l’Oceano Atlantico. Nel 1814, aveva già trovato la sua Sant’Elena, così impermeabile al suo ingombro e al suo dominio (teso tra l’Elbano tirannicida e Monica Bellucci, come nel film N. Io e Napoleone, di Paolo Virzì) nella sua legge non scritta di distanza fisica e spirituale dalle cose del mondo, pur avendo spazio e ormai infrastrutture per accoglierle ogni estate.
Immagine d'apertura: veduta dalla spiaggia del Frugoso, Cavo, isola d'Elba. Foto Gaia D'Angelo