Dagli anni ’60, Alberto Ponis aveva cominciato a creare sulle coste settentrionali della Sardegna un linguaggio architettonico unico, fatto di case che nascevano dal luogo, sia in termini di costruzione – col riferimento alla tipologia dello stazzo gallurese – sia di forme, con le masse che si saldavano alla roccia granitica, che ne assecondavano curve e asperità, e che spesso le permettevano di invadere gli ambienti domestici.
Per strano che possa sembrare, questo linguaggio nasceva dall’esperienza londinese che Ponis aveva fatto lavorando presso Denis Lasdun, maturando un’attenzione ai contesti locali che avrebbe poi fatto di lui un architetto radicato nel suo luogo di lavoro – la Sardegna – ma dal respiro internazionale, con clienti italiani, inglesi, o argentini, come succede negli anni ’70 con la casa Scalesciani a Costa Paradiso.
Una storia di continui rilanci e ripensamenti, e di immersioni sempre più profonde nella materia dell’isola, che lo stesso Ponis aveva raccontato a Domus nell’aprile del 2015, sul numero 990.
Alberto Ponis e la storia di una casa a Costa Paradiso
Nel 2015, l’architetto della Sardegna moderna raccontava a Domus la storia della sua Casa Scalesciani, nata negli anni ’70 per trasformare un panorama e una scogliera in un’esperienza da abitare.
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- Alberto Ponis
- 23 ottobre 2024
Casa Scalesciani, Costa Paradiso, Sardegna
Il terreno di Juan S., argentino amante dell’Italia, fa quasi paura, tanto è ripido e a picco sul mare. Anche il sentiero per arrivarci è periglioso e lo si percorre col fiato sospeso. Nelle lunghe chiacchierate sul posto dove sorgerà la casa, più che seduti stiamo addossati al pendio cercando di tener basso il baricentro, come gli scalatori, aggrappandoci a qualche cespuglio. Ma l’entusiasmo di Juan non conosce ostacoli.
I primi appunti parlano di spazi interni movimentati, di effetti drammatici (ove possibile), di una piscina d’acqua salata (ma dove?), di una cucina aperta e altro. Una prima bozza – siamo nel l974 – prevede i quadratini delle stanze in fila indiana, come a tenersi per mano per non cadere, con la possibilità di adattare il ‘trenino’ alle curve di livello. Ma Juan non è soddisfatto e non lo nasconde. Non è questa la casa che ha in cuore e in testa.
L’anno successivo prendo coraggio e allungo il trenino in modo da creare un percorso panoramico e una sequenza di vani tutti allo stesso livello. Devo ammettere che il mio pensiero dominante è ancora quello della forza di gravità e della scogliera che non riesco nemmeno a vedere tanto è a strapiombo. Juan non si dà per vinto e, con parole cortesi ma ferme, rifiuta anche questa versione. La mia difesa del progettino, che penso abbia comunque dei meriti, è però debole di fronte a tanta determinazione. Juan, che ha visto la casa dei Martinez con le linee libere dei muri e con le rocce dentro casa, insiste. Il sito è drammatico, non vi sono dubbi, e lui vuole una casa drammatica.
La terza bozza è quella buona. Dopo innumerevoli visite al terreno, sono passate la paura e la diffidenza. Finalmente le forme nascono libere e i livelli interni seguono quelli naturali. La pianta arriva quasi subito, più piccola e raccolta di quelle precedenti, costruita in pochi giorni sui pensamenti e sul lavoro di due anni. Non debbo aspettare l’arrivo di Juan dall’Argentina per avere la certezza che è questa la casa che voleva: e così sarà. La costruzione nasce aggrappata, quasi incastrata nel pendio, cosicché arrivando dall’alto se ne scorge solo il tetto. La tortuosa trincea che la separa dal terreno contiene gli ingressi e la protegge dalla calura. Nella Costa Paradiso degli inizi ci sono pochi progettisti e una sola impresa di costruzioni, gallurese ma non di Trinità d’Agultu, il comune di appartenenza.
Quando il commendator T. ci invita a far lavorare anche le piccole imprese locali, distribuendo gli appalti in modo equo, sorge qualche perplessità per la pigrizia di dover ricominciare a trasmettere istruzioni e raccomandazioni. E anche per il timore di creare screzi e rivalità con gli appalti. Sono preoccupazioni infondate perché gli artigiani di Trinità si rivelano presto abili e docili allo stesso tempo. Uno di questi, Salvatore Nattivi, farà il miracolo di costruire con maestria quelle forme libere rese audaci dalla precarietà del sito.
Finalmente le forme nascono libere e i livelli interni seguono quelli naturali. La pianta arriva quasi subito, più piccola e raccolta di quelle precedenti, costruita in pochi giorni sui pensamenti e sul lavoro di due anni.
Alberto Ponis
A Juan S. debbo gratitudine per aver difeso le proprie idee fino a trasmetterle e farle diventare anche mie. Nella ormai collaudata cooperazione a tre fra abitante, ambiente e architetto, quest’ultimo ha arrancato un po’ in partenza... Il 1977 è anche un anno fatidico, per via di un ingegnere che scombussolerà l’ordine dei miei progetti mettendo in cima alle priorità i figli e la famiglia e diventando partecipe e protagonista del resto della mia esistenza. Il classico, ancorché ritardatissimo, giro di boa.