Magistretti, Nelson e la Pretzel Chair

Dall’archivio Domus, la storia di un progetto nato in trent’anni, unendo il maestro milanese con la mente del design moderno americano creatore del mito Herman Miller.

Vico Magistretti, la Atollo o l’Eclisse; George Nelson e il brand Herman Miller, La Coconut Chair. Facendo il gioco di “citarne una fra tantissime” diventerebbe comunque difficile esaurire la sterminata produzione di icone del design che si associa a queste due figure, e al nome simbolo dell’arredo modernista americano. Una storia però li riunisce, quella di una sedia concepita negli anni ‘50 e poi realizzata negli’80, tra sperimentazioni materiche ed analogie estetiche perfettamente adeguate ad entrambe le epoche. Questa storia la raccontano gli stessi Nelson e Magistretti a Domus nel marzo del 1986, sul numero 670.

Domus 670, marzo 1986

George Nelson “Pretzel-Chair” Icf

Racconta George Nelson
Questa sedia? l’ho disegnata nel ’55. È carina. Ci han messo trent’anni a metterla in produzione e non è fuori moda. Sì, ci dovrebbero essere delle cose che durano più di cinque anni... Cose come quelle di Prouvé, di Eileen Gray, che ritornano...Perché l’ho pensata così, la sedia? Non so... Allora, molte sedie erano o a scocca in plastica alla Eames o a elementi a bastone. La mia idea era di fare qualcosa di molto resistente e molto leggero - come la sedia di Ponti, che ammiro moltissimo-qualcosa da poter sollevare con due dita. Per avere forza e leggerezza insieme, ho pensato al compensato. E col compensato ho visto che le forme diventano curve, totalmente curve. Così è venuto fuori il “Pretzel”, la “Pretzel-Chair”. Herman Miller ha visto però che una sedia così non la poteva produrre, e si è cercato chi lo potesse. Ma il prezzo era troppo alto. Tre volte il prezzo norma-le. Non se ne parlò più per trent’anni.

Mi rimaneva il prototipo, che avevamo fatto in studio, a mano. Lo conservai per ricordo. Maddalena De Padova, quando venne a New York, lo vide e pensò che si poteva trovare chi lo producesse. Suggerì che mi mettessi in collaborazione con Vico Magistretti - c’eravamo già incontrati, Vico ed io, con simpatia reciproca - e così chiamammo la sedia “The Georgistretti Chair”... Senonché Vico, per entusiasmo, per temperamento, finì per farne qualcosa di totalmente diverso dalla “Pretzel-Chair”. Non c’era ragione di continuare, allora... pensai che avrebbero prodotto la sedia di Vico, non la mia... Senonché, tutt’a un tratto, ecco Sangiorgio della ICF che arriva, che dice che la vuol fare e che la fa. Mi dicono che è molto cara, e che non ne vendono molte, ma io sono felice, in verità, che la sedia esista. È molto ben fatta, è ottima, e tutto va bene. È stato bello lavorare con Vico e siamo sempre amici”. New York, 13 gennaio 1986

Domus 670, marzo 1986

Racconta Vico Magistretti
MR: Nella vicenda di Pretzel fondamentale appare il ruolo giocato dall’industria, da una industria: la Herman Miller, fondata nel 1905 nei pressi di Grand Rapids, Michigan e di cui George Nelson diresse tra il 1944 e il 1965 il settore design. Sulla Herman Miller, Nelson pronunciò un giudizio rimasto celebre: “È una piccola azienda in una piccola città. La distinguono i seguenti principi:... Il design è una componente essenziale della nostra attività... Sei tu a decidere ciò che vuoi produrre... Esiste un mercato per ogni buon design...” VM: L’opera fondamentale di George rimane probabilmente la creazione di uno dei fenomeni più eclatanti di unione tra progettazione e produzione: appunto il fenomeno Miller. Egli fu persino capace in alcuni momenti di ritirarsi in secondo piano, quasi avesse deciso che la sua “longa manus” creativa dovesse essere Charles Eames. Insomma George è un uomo che ha saputo parlare piano di sé. Ha creato oggetti densi di intelligenza e di humour. Uno humour sostanzialmente amaro, tipico di un personaggio triste, ironico su se stesso e sul design.

Domus 670, marzo 1986

 MR: Nel suo libro del 1935 “Chairs” Nelson sostiene che ogni sistema culturale focalizza i suoi sforzi su un particolare item simbolico. Nel mondo occidentale uscito dalla seconda guerra mondiale tale valenza fu assunta dalla sedia. VM: Contestualizziamo quest’osservazione su Pretzel. Essa assume in definitiva il linguaggio del compensato curvato, cioè il sistema espressivo fondamentale per tutta la produzione di Eames. Non lo adotta però attraverso un’impostazione “tecnologica”, ma come segno, un segno che è una dichiarazione: la tecnica consente di piegare il legno a piacere, io voglio ricreare la forma del manubrio di una bicicletta da corsa. MR: Nelson scrive a proposito della genera zione di architetti e designers degli anni '40: “Nella battaglia tra conservatori e moderni, I battaglioni sulla prima linea del progresso debbono avere le loro bandiere. Tali simboli includevano allora: gli abiti dei monaci, le riproduzioni di Mirò, le sedie di Aalto e I mobiles di Calder”. Forse in Pretzel il riferimento a un’atmosfera scandinava risulta più forte di quanto non sia l’affinità con i contemporanei compensati curvati americani.

VM: Gli oggetti di Aalto costituiscono innanzitutto un documento sull’uso corretto del compensato curva to. L’impiego che ne fa Nelson è praticamente opposto; non si preoccupa infatti di realizzare un oggetto producibile, crea un'imma gine utilizzando un materiale che gli consenta di eseguire una scultura. Inoltre in Aalto è indiscutibilmente molto più forte il legame tra funzione, tecnologia e nazionalità. Si comprende solo oggi quanto la forma non sia dettata unicamente da imputs tecnologici e funzionali, ma anche da valori ambientali: il design tenderà sempre più a esprimere la cultura di provenienza. Esso è infatti frutto di una memoria, di una stratificazione. Il design insomma “si fa con il vicino di casa”. Bisogna porre attenzione tuttavia a non interpretare questo concetto in maniera riduttivistica. Design nazionale non significa design folkloristico. MR: Nel tentativo di giungere a determinare alcuni riferimenti archetipi di Pretzel, è necessario citare la produzione in faggio curvato di Michael Thonet. VM: L’intervento nell'ambiente casa, nel paesaggio, nell’universo domestico deve indubbiamente essere diverso, ma diverso in quanto è necessario “vedere meno”, diminuire i segni. A questo proposito è pertinente il riferimento alla sedia Thonet. Un oggetto che se per un verso “non si vede”, per l’altro diviene emblematico, qualifica il luogo in cui è collocato, grazie a questo suo tono colloquiale di affinità. Discorso molto lontano da quanto sembra oggi attirare l'attenzione dei media che impongono lo stereotipo dell’originalità, in una parola la negazione della ripetitività. Ripetitività che è una delle più grandi conquiste della nostra cultura.

Domus 670, marzo 1986

 MR: Nell’America degli anni '50 si verifica un rapporto complesso e stimolante tra due imprese leader: la Herman Miller e la Knoll. La prima imbocca una strada di ricerca sperimentale, la seconda ipotizza la ripresa dei “grandi maestri” producendo, già in quel periodo, i mobili ideati nel 1920 da Mies. Dobbiamo inserire Pretzel in questa ottica di riedizione, da allora continuata ininterrottamente? VM: Knoll è accademia. Miller una ditta. È molto diverso. Questa di Pretzel è una riedizione nata per caso, senza nessun desiderio celebrativo. Lo stesso George si era dimenticato di questa sedia.. MR: George Nelson nel 1952 dichia rò: “Ora la battaglia è vinta. Persino i Grandi Magazzini vendono mobili moderni... ma ciò significa che ci veniamo a trovare con qualcosa che è stato generalmente accettato come uno stile... con quanto credevamo di combattere...” VM: Per questo George è un grande maestro. Nel momento in cui avverte di aver vinto una battaglia, dichiara di averla persa. È probabilmente errata la proposi zione iniziale contro gli stili. Uno stile non è cattivo o buono. Uno stile è la storia. Non è altro che l’insieme degli elementi che permettono di individuare un determinato periodo.