Pubblicato in origine su Domus 610 / ottobre 1980
The Presence of the Past
A proposito del Post-Modernism sono sorti molti malintesi, forse
a causa del successo stesso del termine e del suo svariato, o
addirittura troppo vago uso. È possibile che ambiguità e successo
siano collegati, in quanto la vaghezza della definizione
conduce sia i Modernisti che gli anti-modernisti a leggervi tutto
ciò che vogliono.
La moda può certo essere liberatoria, così come la vaghezza e
il pluralismo, soprattutto quando il Modernismo (e forse anche
il tardo-modernismo) tendono a divenire più dottrinari ed esclusivisti.
Per tutti questi motivi nel 1975 mi son deciso ad
usare il termine per indicare sei diramazioni dal Modernismo
(The Rise of Post-Modern Architecture, Eindhoven, 1975):
diramazioni, dunque, da una comune tradizione più che reazioni
contro di essa. Queste sei tendenze del post-modernismo
(in lettere minuscole) - storicismo, neo-vernacolare, adocismo,
contestualismo, architettura metaforica e metafisica, e quella
che lavora sull'ambiguità dello spazio - sono chiaramente distinte
le une dalle altre, ma hanno anche una radice comune:
il ricorso al "doppio-codice". Inoltre sono tutte in parte ancora
Moderne (per via della tradizione da cui discendono) e in
parte qualcosa d'altro. Per cui la definizione del Post-Modern
fa perno sulla nozione di "doppio-codice", definizione più rigorosa
che mi si è chiarita solo dopo la prima edizione del mio
libro nel 1977. Definizione che contrappone
questo gruppo eterogeneo di tendenze a quelli
con cui vengono spesso confusi, i Late-Modernists.
Biennale di Venezia 1980: la Strada Novissima
In attesa della 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground, riproponiamo un testo di Charles Jencks sulla prima edizione diretta da Paolo Portoghesi, The Presence of the Past.
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- Charles Jencks
- 25 agosto 2012
Ancora oggi giornalisti, redattori e pubblico continuano a fare confusione tra questi due indirizzi basilari. Pensano infatti che tutto ciò che appare ludico, strano, più Moderno del Moderno, sia automaticamente Post-Modern: ecco perché, ad esempio, Peter Eisenman diventa un Post-Modernist.
È chiaro che l'ambiguità e la sorpresa dei suoi spazi lo collocano in tale categoria, ma è altrettanto chiaro che le sue posizioni anticonvenzionali e antisimboliche sono Late-Modern. Dobbiamo concludere che l'ambiguità del termine è dunque condivisa dal pubblico, dai giornalisti e dagli architetti. Avendo presente tale distinzione, divengono chiari una serie di altri punti: il filone principale del P-M (Venturi, Moore, Stern, e ora Hollein, Stirling, Philip Johnson, Bofill) dovrebbe essere distinto da tutte le altre correnti, così come un movimento consapevole si distingue all'interno di un più vasto schieramento culturale.
Va inoltre considerato che il Classicismo Post-Modern è ormai uno stile chiaramente identificabile e una precisa impostazione filosofica (che assembla frammenti di contestualismo, eclettismo, semiotica e altre particolari tradizioni architettoniche). Leon Krier, e persino Aldo Rossi, hanno cominciato a muoversi verso tale direzione (anche se continuano a nutrire diffidenza per tutto ciò che sa di americano).
Lo storico del 2000 potrà distinguere il Classicismo del P-M dai vari professionisti p-m - allo stesso modo che personaggi come Kroll ed Erskine, in altri contesti, che hanno abbandonato il Modernismo senza per questo però sposare l'ideologia del Classicismo Stile Libero. Analogamente potrà accadere che egli si occupi dei partecipanti alla Biennale 1980, accorgendosi che essi coprono solo una parte delle istanze post-modern - quella storicistica.
Naturalmente Paolo Portoghesi e la commissione (Scully, Norberg Schulz, il sottoscritto, ecc.) hanno preso in considerazione quegli architetti che più si avvicinavano al tema scelto da Portoghesi per questa Biennale - La Presenza del Passato - e ai suoi interessi (per un linguaggio perduto dell' architettura). Ciò ha comportato l'esclusione di molti post-modernists e una particolare enfasi della Scuola Post-Modern. Il termine ha finito così con l'essere cooptato nel sottotitolo della mostra ad uso e consumo di una polemica in parte settaria.
Bisognava rifiutarsi? Si grida allo scandalo forse quando si sentono
delle definizioni del Modernismo come "razionalismo strutturale" (Viollet-Ie-Duc) o come "responsabilità sociale" (William
Morris) o una qualsiasi delle altre formulazioni ricorrenti?
Per ovviare all'ambiguità e alla polisemia di tale termine, ho
cercato in Late-Modern Architecture, di tirar fuori le trenta
principali definizioni di architettura Moderna, Tardo-Moderna
e Post-Moderna e di disporle tutte insieme in una sorta di
tavola comparativa.