Prodotto dell’eterno fascino di abitare le acque, le isole artificiali sono diventate negli ultimi anni il modo per molte città di espandersi sul mare, aprendo la possibilità di spostare insediamenti, attività, natura e intrattenimento al di là dei normali confini urbani.
Non si tratta sicuramente di un’innovazione recente. Fra i primissimi esempi di isola artificiale compariva Dejima, creata nella baia di Nagasaki nel XVII secolo in Giappone come centro dedicato ai mercanti europei, a testimonianza di come l’uomo abbia sempre cercato di stanziarsi sul mare con piattaforme fisse o mobili.
Tuttavia, dalla recentemente inaugurata Little Island di New York all’annunciata Lynetteholm Island a Copenhagen, ciò che spesso si nota negli ultimi progetti è una particolare attenzione all’aspetto della sostenibilità ambientale. Se da un lato alcune sono costruite in modo da avere il minimo impatto, alimentate da fonti di energia alternativa e progettate per proteggere la costa dalle intemperie, altre invece hanno scatenato l’indignazione degli ambientalisti perchè bollate come pratiche di “greenwashing”. In ogni caso, il dibattito intorno alle nuove isole artificiali dimostra una rinnovata consapevolezza e volontà di limitare i danni ambientali annessi a questi progetti.
Inoltre, considerando l’incessante innalzarsi del livello delle acque causato dal riscaldamento globale, in pochi decenni i mari potrebbero ricoprire grandi porzioni di città come Miami, Venezia o Bangkok. Ciò significa che nuove soluzioni abitative sull’acqua diventeranno sempre più comuni, se non proprio necessarie, e in questo panorama le isole artificiali giocheranno un ruolo chiave che non le potrà sottrarre dal confronto con la sfida climatica.