In queste settimane Jan Fabre ha fatto uno straordinario regalo alla città di Napoli. Grazie al sostegno del collezionista Gianfranco D’Amato e dell’imprenditore Enzo Liverino (erede di una delle più antiche manifatture campane per la lavorazione del corallo), l’artista fiammingo ha realizzato e installato in modo permanente quattro opere presso la Cappella del Pio Monte della Misericordia.
Dal modo di rapportarsi al patrimonio esistente, alla possibilità di estendere o aggiungere qualcosa a un capolavoro che appare concluso e non modificabile, dalla relazione tra opere d’arte e impegno etico, al ruolo che esse possono svolgere nelle pratiche di solidarietà sociale, il contributo di Fabre a Napoli, è di grande interesse perché sembra coinvolgere alcuni temi cruciali delle pratiche artistiche contemporanee e riorientarli verso una direzione inattesa e speciale.
Quello a Napoli è infatti un dono eccezionale, che va la di là della convenzionale inserzione di un intervento contemporaneo in un contesto antico e prestigioso. Qualcosa che travalica la mera operazione di promozione e rilancio di una destinazione all’interno dei circuiti turistici. Il luogo in cui questa vicenda si svolge, infatti, non è solo uno tra i più centrali nella geografia e nella storia artistica della città, ma è connotato soprattutto da qualità funzionali e scopi sociali esterni alla cultura.
Il primo obiettivo delle opere prodotte da Fabre è innanzitutto quello di estendere la collezione del Pio Monte della Misericordia, ovvero quell’istituzione che ininterrottamente da quattro secoli sostiene la popolazione bisognosa di aiuto e di solidarietà della città, attraverso opere di carità. Una di quelle innumerevoli società laiche, su cui si è venuta fondando la storia civile del paese e che per mezzo dell’impiego pratico, o speculativo, delle opere d’arte e l’edificazione di specifiche architetture, hanno definito parti importanti del patrimonio nazionale.
Istituzioni di cui si tende a sottostimare il valore, perché non giocano alcun ruolo nella costruzione dell’arte di mercato, o peggio, sono percepite come vetusti relitti, e che invece, proprio in virtù della loro persistenza nel tempo, ci indicano la loro efficacia in quanto modelli di intervento per le politiche di sostengo e progresso sociale nel lungo periodo.
L’antica sede del Pio Monte, con lo storico palazzo eretto nel secolo XVII, conserva un vasto patrimonio storico artistico e una ricca quadreria con dipinti di Massimo Stanzione, Jusepe de Ribera, Luca Giordano, Andrea Vaccaro e, più recentemente, arricchita di importanti opere sul tema della Misericordia eseguite da grandi artisti contemporanei.
Al secondo piano del palazzo sono ospitati l’Archivio Storico e la biblioteca in cui si conservano documenti a partire dal XIV secolo, oltre diversi fondi privati, tra cui quello di d’Aquino di Caramanico, con la preziosa pergamena della proclamazione a Dottore della Chiesa di San Tommaso d’Aquino. Un’immensa accumulazione di donazioni volta a costruire un patrimonio messo in usufrutto per sostenere le attività che si svolgono nella città e negli ultimi piani del palazzo, dove vengono educati con corsi di formazione, o risiedono accuditi durante la settimana, giovani in situazioni di difficoltà.
Tali aspetti sembrano essere stati ben compresi da Fabre, che l’anno scorso, nell’ambito della mostra personale “Oro Rosso” realizzata in collaborazione con il Museo di Capodimonte – sotto la curatela di Melania Rossi, che si è occupata di seguire anche la realizzazione delle nuove opere – era venuto ad omaggiare il Pio Monte una prima volta, deponendo al centro della Cappella un proprio autoritratto, L’uomo che sorregge la croce.
L’opera aveva innescato la consapevolezza di poter inserire degli interventi contemporanei e di passare da un contributo, in fondo autoreferenziale e decorativo, a un apporto strutturale permanente e connesso alle attività del Pio Monte.
A questo punto va detto, per quei pochi che non conoscono il contesto, che la Cappella costituisce il principale spazio, attraverso il portico sempre aperto sulla via dei Tribunali, proprio in fronte all’obelisco di San Gennaro, per mezzo del quale l’istituto si apre alla città. Luogo centrale dell’arte barocca napoletana, raccoglie un eccezionale ciclo di dipinti dedicati a presentare le attività dell’istituto, tra i quali svetta, sull’altare maggiore le Sette Opere di Misericordia corporale, il principale capolavoro del Caravaggio a Napoli.
È proprio a questa opera che Fabre si è ispirato per i temi e i dettagli delle sue sculture che ha pensato di lasciare al Monte, rovesciando l’atteggiamento del suo primo intervento da una imponente centralità verso una complementarietà misurata e necessaria. D’ora in poi, quando si entrerà in questo straordinario luogo si avvertirà, in basso, la discreta presenza delle quattro nicchie. Sovrastate dal celebre ciclo di dipinti, le cavità erano rimaste mute e inavvertite. Depresse dalla verticalità dell’impianto circolare della costruzione tardo barocca, episodicamente riempite senza passione, stavano in attesa da secoli.
Un destino paradossale nella Napoli antica, fatta di anfratti e recessi. Dove i muri sono scavati e scolpiti per fare spazio ad altari, nicchie, mensole e buchi, su cui si accumulano senza soluzione di continuità, ancora oggi, eserciti di statuine, ex-voto, immagini e oggetti devozionali.
Un processo perpetuo, dalle origini classiche che si rinnova in continuo e che sembra voler resistere, con i suoi caratteri materiali di memoriali e talismani, a un presente sempre più effimero e immateriale. Un universo di oggetti che testimonia eventi, disgrazie umane, compensazioni e salvataggi prodigiosi che Fabre sembra aver intuito e fatto propri nel montaggio dei propri oggetti.
Le quattro interpretazioni di opere di misericordia sono realizzate assemblando in oggetti figurativi roselline, mezze perle, cornetti e frammenti di corallo. La figura del cuore, ricorrente nell’opera di Fabre, è di volta in volta assemblata a elementi diversi: il giglio, la colomba, la mascella d’asino e la croce, al fine di produrre l’associazione iconografico-simbolica con le carità.
Nell’atmosfera ombrosa della Cappella, solidale a estendere la luce caravaggesca dei dipinti, le nicchie diventano delle illuminazioni di misericordia. Lampade di corallo, che proseguono la tradizione artigiana delle manifatture di Torre del Greco con materiali provenienti dall’estero.
Un sincretismo eccezionale e significativo che nasce in un contesto geografico, eccentrico come quello di questa capitale del Meridione, centro possibile di sovrapposizioni, dove gli intenti artistici possono assumere implicazioni altrove impensabili. Un luogo dove trasformare i consumatori d’arte in devoti di intenti migliori.