I protagonisti del nuovo MIAC – Museo Italiano dell’Audiovisivo e del Cinema sono gli artisti di None Collective, che hanno progettato l’allestimento degli spazi raccontando il cinema in modo multimediale, interattivo e immersivo.
I fondatori dello studio – Gregorio De Luca Comandini, Mauro Pace Founder e Saverio Villirillo – provengono dai mondi del design e dell’architettura, ma attraverso narrazioni, pratiche, installazioni, e mostre hanno trovato un’identità unica che si avvicina molto di più a quello dell’arte: “La nostra ricerca si focalizza sul rapporto tra uomo e macchina. Utilizziamo la tecnologia come strumento per creare esperienze e narrazioni e sperimentiamo nuovi linguaggi in cui si combinano elementi fisici e digitali,” ci raccontano gli artisti.
“In un’epoca in cui assistiamo alla smaterializzazione del design e dell’architettura noi proviamo a fare l’opposto: eliminiamo i dispositivi tecnologici dalla scena e proviamo a dare una diversa fisicità ai linguaggi audiovisivi, combinandoli con elementi quotidiani o materiali naturali. Ogni scenografia del MIAC dialoga con i contenuti multimediali estratti da archivi storici, diventando uno spazio dinamico.”
Il progetto di allestimento, vincitore del bando indetto dall’Istituto Luce-Cinecittà nel 2018, rilegge in modo inedito la storia del cinema, della televisione e della radio. “Insieme ai curatori abbiamo selezionato 12 temi trasversali, che non si riferiscono esclusivamente al cinema ma interpretano la nostra società italiana: il potere, l'eros, il paesaggio, la commedia, il futuro...” ci spiega None Collective.
“Raccontare tutto il cinema italiano senza scontentare nessuno è un’impresa impossibile. Gli archivi consultati sono immensi e senza il taglio giusto si rischiava di non aggiungere nulla rispetto a quanto fatto ad esempio con l’archivio online dell’Istituto Luce. Il risultato è una narrazione organica, anche se non mancano accostamenti azzardati o dissonanti. Se da una parte la nostra intenzione è valorizzare il patrimonio audiovisivo italiano, dall’altra vogliamo che le installazioni non siano dei surrogati degli archivi ma delle opere indipendenti, delle nuove narrazioni.”
Lo studio si è espresso con lo stesso linguaggio ibrido che ha sviluppato negli anni, che si compone di una grammatica innovativa. “In architettura gli elementi classici sono forma, materia e luce naturale. Noi aggiungiamo anche altri fattori che compongono l’opera: la luce artificiale, le cui potenzialità sono ormai infinite: dal laser alle proiezioni, passando per lenti e meccanismo che modificano i raggi di luce; il sonoro è un mondo di cui non siamo consapevoli e che invece costituisce sempre il 50% dell’esperienza, perché agisce direttamente sull’inconscio, va più in profondità; la scenografia infine reagisce alla presenza e al comportamento dei visitatori. Il nostro lavoro di regia orchestra tutti questi elementi per renderli in sintonia e sincronia. Il tempo è quindi un fattore fondamentale per definire gli scenari transmediali,” dicono Gregorio, Mauro e Saverio.
“Piuttosto che la classica mostra divulgativa abbiamo sviluppato un’esperienza multisensoriale, che è in grado di avvicinare un pubblico ampio. Sappiamo che i visitatori dei musei sono sempre più disattenti e cerchiamo di catturarli gradualmente, all’inizio stimolando percezione ed emotività, e in seguito con vari livelli di significato.”