L’esplorazione del ciclo delle stagioni nell’arte pittorica, quale incessante ricerca mimetica e interpretativa del reale, offre un fertile terreno d’indagine. Questa ricorrente tematica, fascinosa metafora del tempo ciclico e del perenne rinnovamento della natura, consente di analizzare le modalità con cui gli artisti, attraverso il sapiente utilizzo di luce, colore e tecnica, hanno trasposto sulla tela l’essenza effimera di ciascun periodo dell’anno. Tra questi, l’autunno, con la sua malinconica bellezza e il suo intrinseco carico simbolico di declino e trasformazione, ha esercitato un fascino peculiare sugli artisti di ogni epoca, trovando in novembre, mese di transizione e di preparazione al lungo sonno invernale, la sua massima espressione. In questo periodo, la luce, elemento cardine della pittura, subisce una metamorfosi: non più calda e avvolgente come in estate, né fredda e diafana come in inverno, ma radente e dorata, generatrice di atmosfere suggestive e malinconiche. Tale luce è magistralmente catturata in opere come November Morning di Villard Metcalf, dove si manifesta attraverso grandi distese d’arancio e sottili variazioni cromatiche che delineano il fogliame, e Il ritorno della mandria di Pieter Bruegel il Vecchio, ove accarezza le forme con tocchi morbidi e dorati, creando un’atmosfera di sospensione e quiete meditativa.
Novembre
L’undicesimo mese dell’anno è quello che nell’arte pittorica diventa simbolo di mutamento, malinconia e meditazione sul ciclo della vita.
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- Valentina Petrucci
- 29 novembre 2024
Se in Metcalf la luce autunnale è protagonista assoluta, in Bruegel essa contribuisce a un’allegoria più ampia sul tempo, il destino e la ciclicità dell’esistenza. La mandria che avanza lenta verso le stalle, seguendo un ritmo ancestrale, incarna il ritmo stesso della vita con la sua ineluttabile cadenza. L’uomo, figura minuscola in confronto alla vastità della natura, si inserisce in questo ciclo con discrezione, ma al contempo con un ruolo significativo. Bruegel, con sguardo acuto e partecipe, coglie la dignità di questa esistenza semplice, legata alla terra e ai ritmi delle stagioni, senza idealizzazione né compiacimento pittoresco, ma con profonda comprensione della condizione umana.
Un processo di trasformazione, sì. Un passaggio necessario, un lento distacco, per giungere a una nuova forma di espressione, a una rinnovata manifestazione di vita.
Anche November’s Harmony (1893) di Theodore Clement Steele, traduce l’intima essenza del paesaggio autunnale, ma lo fa elevandolo a paradigma di una sensibilità intrisa di lirismo romantico. A differenza della rappresentazione più realistica di Bruegel, Steele opera una riduzione formale di notevole efficacia, orchestrando una complessa trama cromatica attraverso una pennellata ora vigorosa e materica, ora delicatamente sfumata. La tavolozza, dominata da tonalità terrose, bruni caldi, ocra dorati e verdi smorzati, concorre a generare un’atmosfera di pacata malinconia. La costruzione prospettica, con le colline ondulate che si perdono nella foschia e gli alberi scheletriti che si ergono come elementi ieratici, contribuisce a un effetto di sospensione temporale.
Come in Bruegel, anche in Steele la natura autunnale diviene meditazione sulla caducità dell’esistenza e sul rapporto uomo-natura. November’s Harmony si inserisce nella tradizione romantica americana, anticipando al contempo alcune suggestioni del Simbolismo europeo, dove la natura non è solo oggetto di rappresentazione, ma diviene proiezione di stati d’animo, specchio dell’interiorità e metafora della condizione umana. L’autunno, dunque. Non soltanto una stagione nel ciclo incessante dell’anno, ma un archetipo profondo, simbolo di quell’oscillare perenne, ineluttabile, tra la finitezza che ci definisce e l’infinito a cui aneliamo; tra la caducità che tocca ogni cosa e l’eternità che cerchiamo nel suo incessante mutare. Un processo di trasformazione, sì. Un passaggio necessario, un lento distacco, per giungere a una nuova forma di espressione, a una rinnovata manifestazione di vita. Le foglie che si staccano dai rami, abbandonandosi al vento e alla terra; i rami che si spogliano, mostrando la loro struttura essenziale, la loro forza silenziosa. Tutto parla di un ciclo che si compie, non di una fine, ma di un preludio a una rinascita. A un’esplosione di vita che, dopo il riposo invernale, si manifesterà in nuove forme, in nuovi colori, in un’eterna danza di morte e rinascita.
Immagine di apertura: Willard Metcalf, November Morning, 1924