Nativo della Sardegna, dove da anni aveva fatto ritorno, Graziano Origa aveva mosso i primi passi nel mondo dell’arte come fumettista, professione che lo ha sempre accompagnato.
Nel mezzo, una vita spesa tra Milano e New York, due anime che aveva incarnato tra fine ‘70 e metà ‘80. Da un lato quella del Plastic, di Enrico Ruggeri e dei suoi amici Krisma, Maurizio Arcieri e Christina Moser – anch’essa recentemente scomparsa. Dall’altro la metropoli in cui punk, street e pop art si stavano amalgamando, la città di Keith Haring e di Andy Warhol, che Origa ritraeva nei suoi scritti come “faccia priva di melanina, il corpo canarino, la testa calva, il cazzo grigio e la chioma sintetica elettrica che come sua madre Julia parla ancora in cecoslovacco sognando ad occhi aperti [...]”.
Origa aveva sintetizzato queste due identità artistiche e scuole di pensiero prima nella rivista Gong, con la sua ricercata identità grafica , e dal 1979 nel suo capolavoro, Punk Artist: sotto la visione del curatore, ai limiti del surreale, la testata amalgamava Interview di Warhol con il magazine punk Slash, inseguendo un’estetica abrasiva ma raffinata, dove gli scritti erano accompagnati da illustrazioni di Origa stesso e fotografie di Joe Zattere, il compagno di una vita.
Ne ricordava la genesi, raccontando come fosse stato proprio Warhol ad avergli proposto di curare l’edizione italiana di Interview. “Mi dai 100 dollari per usare il logo, altri 100 per mettere il mio nome, 100 ogni volta che prendi una delle nostre foto e 100 per ogni star che ho intervistato. E stasera ti porto da McDonald”.
“Beh sai cosa Andy? Si può fare che io lo faccio lo stesso ma lo chiamo Punk Artist, uso il mio nome, le mie foto e le mie interviste. E stasera ti porto al ristorante sardo della 54esima che si chiama Due Merli,” fu la risposta di Origa.
Lui stesso definiva la testata come un “periodico decadente, raffinato, trash ma elegante, talvolta angosciato, altre su di giri”. In una parola, Origa aveva già immaginato il post-moderno che sarebbe di lì a breve seguito.
Dopotutto, come lo ricorda il cantante, autore e oggi stimato pittore Ivan Cattaneo, “Graziano è stato il Warhol della Milano da Bere”, in anni in cui – si unisce nel cordoglio un altro amico storico Johnson Righeira – “Milano era forse anche meglio di New York. Il Plastic era una vera democrazia: trans, modelle, stilisti, pusher, trovavi tutti sullo stesso piano una volta passata la selezione alla porta, bastava che avessi una storia dentro da raccontare.”
Come entrambi sottolineano con affetto, Origa e Warhol erano simili nella fisionomia delle guance scavate, nei grandi occhiali tondi di acetato trasparente, e nel linguaggio fatto “di mezze frasi scandite e mai concluse”.
La sua abitazione milanese era stata decorata da Keith Haring e ci potevi incontrare un pubblico variopinto come le sue illsutrazioni: dall'attrice trans Eva Robin’s allo stilista Sandro Pestelli, che all’epoca aveva la sua boutique Gerard di fronte a quella di Aramni in Via Durini. Come ricorda Johnson, “nel bagno aveva gli orinatoi come nei locali inglesi…in Italia una cosa così all’epoca si vedeva solo negli Autogrill”.
Nel 1980 la testata-movimento diventa anche un film diretto a quattro mani con Zattere, Punk Artist The Movie, di fatto il primo in Italia a toccare la subcultura, tra sangue ostentatamente splatter e erotismo underground. Come Origa stesso ricordava, divertendosi a tessere un velo di leggenda metropolitana intorno all’opera, l’unica copia del film fu rubata subito dopo la prima proiezione, presso la discoteca Primadonna in San Babila, rendendolo oggi perduto per sempre. Origa farà ritorno al cinema negli anni ‘90 con “Kairos & Kronos”, al fianco di glorie vecchie e nuove dell'underground italiano, tra cui Tre Allegri Ragazzi Morti e Ivan Cattaneo, che si occupa anche delle musiche.
La sua Punk Art, corrente di cui Origa si riconosceva pioniere, non era solo un fattore visivo, ma soprattutto una filosofia, fatta di esplorazione e rottura continua con lo status quo. Ecco che nel secondo numero di Punk Artist, in un’intervista a dir poco lisergica con i Krisma, tutti si dichiaravano già stanchi di questo punk tanto chiacchierato.
La stessa attitudine lo porta a esporre in quel Plastic del biennio ‘78-’80 che lui stesso definiva “tempio dandy”, per poi a dare vita, con piglio situazionista e vivacità d’artista indomito, a testate come Gay Italia, Stallion, Blueboy, Torso, Fumetti d’Italia e Focus, per cui più volte scatta e ritrae i Righeira.
Con Origa ci lascia un altro protagonista fondamentale della stagione del punk europeo, ma soprattutto una figura chiave per comprenderne la filosofia e l’iconografia, stimato nel mondo dei fumetti – “eminenza oscura del fumetto italiano”, lo chiama Righeira – ma ancora poco celebrato per il più ampio lascito artistico: d’altronde, come chiosa Cattaneo,“All’epoca al di fuori delle discoteche non c’era uno spazio fisico dove trovarsi, parlare e confrontarsi senza musica, una Factory…quello è stato uno dei limiti al suo riconoscimento in Italia”.
Immagine di apertura: Graziano Origa a New York, metà anni '80. Foto: archivio Graziano Origa.