“D’inverno, come in nessun’altra citta al mondo, calava la quiete sulle vie e sui vicoli, tanto della Città alta, sulle colline, che della Città bassa, che si stendeva lungo le anse del Dnepr intirizzito, e tutto il rombo delle macchine si perdeva all’interno degli edifici di pietra, si smorzava e diventava un borbottio sordo. Tutta l’energia della Città, accumulata nel corso di un’estate di sole e temporali, si profondeva in luce. Dalle quattro del pomeriggio la luce cominciava ad ardere nelle finestre delle case, in tondi globi elettrici, nei lampioni a gas, nei fanali delle case con i numeri illuminati, e nelle vetrate a tutta parete delle centrali elettriche, che evocavano il pensiero del futuro elettrico dell’umanità, terribile e irrequieto, con le loro finestre a tutta parete dove si vedevano le ruote scatenate delle macchine che giravano senza posa, squassando fino alla radice le fondamenta stesse della terra. Scintillava di luce e traboccava luce, riluceva e danzava e baluginava la Città, nelle notti, fino al mattino, e al mattino si spegneva, indossava il fumo e la nebbia.”
Il racconto di Kiev
Una città in bilico tra la quiete e la tragedia della violenza: così la capitale ucraina è raccontata a inizio Novecento dal grande romanziere Bulgakov, che a Kiev era nato, e dal pittore ucraino Bogomazov, che la dipinse in tre quadri molto diversi tra loro.
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- Valentina Petrucci
- 20 maggio 2022
Così scriveva in La guardia bianca Michail Afanas’evič Bulgakov, uno dei più grandi romanzieri del ‘900, nato a Kiev il 15 Maggio del 1891 in una casa, diventata poi museo, al numero 13 di Andrijvskij Uviz. Il racconto del convulso inverno, a cavallo tra il 1918 e il 1919, ci riporta alla guerra civile russa descrivendo una città addolorata forse non lontana da quello che è oggi.
“Al mondo non c’è una città più bella di Kiev” scriveva ancora in Memorie di un giovane medico quando ormai si era trasferito a Mosca da circa sette anni. Com’era ieri Kiev? Quale il suo ruolo e la sua rappresentazione.
Oleksandr Bogomazov in un’opera dal netto sapore cubista, dal titolo Cityscape. Kiev. torna, come Bulgakov, sul concetto di una città ritmata dalle case, una città densa, viva, dove i palazzi tolgono spazio al cielo, al verde, costruendo così un centro vivo, abitato, pieno.
Bogomazov però vuole entrare al suo interno, nella vita più intima di Kiev, come se fosse uno scienziato così scrupoloso da poterla analizzare persino nelle sue molecole. Dipinge così un anno dopo, nel 1914, Sennoi Market, Kiev. La prospettiva è perfetta. Un mercato di quartiere dove bambini, donne e uomini vivono la loro quotidianità. La merce esposta detta le linee dell’opera, partendo dalla frutta in primo piano e proseguendo dritto sino a scorgere le case della città.
Tutto sembra ovattato, in pieno silenzio, eppure non dovrebbe essere così, al contrario. Lo stile cubista delinea soggetti severi e silenziosi dove la calma sembra farla da padrone.
Due anni più avanti, nel 1916, Kiev viene raccontata in maniera violenta. Un incendio, una città devastata, annientata. Scompaiono i palazzi, le persone, la vita sociale e arriva il caos. Il dipinto, Fire in Kiev, cambia stile. Le linee futuriste sconvolgono tutto spostando così il sentimento finora descritto. L’effetto tradotto è quello di un’onda, il fuoco, che avvolge una città senza forme, senza sentimento. Tutto scompare e appare, solo la distruzione rimane. Un presagio. L’opera è su carta, un monocromo di straordinaria intensità.
Una città di grande respiro, dove le cupole delle chiese hanno raccontato tutta la sua storia. Il fiume Dniepr la divide e l’accompagna, la mantiene anche se ferita e la pittura ricorda Kiev in tutto il suo splendore e in tutto lil suo passato.