1960. Gianni Rodari, scrittore e pedagogista italiano, pubblica una raccolta chiamata Filastrocche in cielo e in terra.
“Chissà se la luna/di Kiev/ è bella/ come la luna di Roma,/ chissà se è la stessa/ o soltanto sua sorella…
“Ma son sempre quella!/ – la luna protesta –/ non sono mica/ un berretto da notte/ sulla tua testa!/
Viaggiando quassù/ faccio lume a tutti quanti,/ dall’India al Perù,/ dal Tevere al Mar Morto,/ e i miei raggi viaggiano/ senza passaporto”.
Parole di libertà, di pace, di mondi dove lo sguardo di un soggetto esterno vengono rappresentati come uguali, liberi.
Non solo la letteratura del passato interpreta la contemporaneità ma anche l’arte. Antonio Canova sintetizza l’idea di pace e la storia di una nazione in una scultura: La pace di Kiev.
Siamo nel 1805, quando il russo Nikolaj Rumjancev commissiona all’artista di Possago una scultura allegorica in marmo bianco, con l’intento di arricchire il salone principale del palazzo dove risiedeva a San Pietroburgo. Canova cerca allora di prestarsi alla storia, cosa poco usuale per lui, progettando un pensiero diverso, che potesse andar oltre la semplice rappresentazione. Scolpì una figura alata, altera e magnificente ma soprattutto carica di valori simbolici.
Una Vittoria/Nemesi, una dea della giustizia con delle grandi ali dove i panneggi, eleganti e forti, delineano le forme di un corpo perfetto, mescolando così il concetto di bellezza classica a quello di giustizia.
Canova tenta per assurdo commistioni di culture e religioni, come se la pace potesse partire anche da lì. Pone così, ai piedi della donna, un serpente che nell’antica Roma stava a simboleggiare la guerra, ma soprattutto emblema, per la religione cristiana, del demonio, del male. Una Madonna, una santa, una dea, un principio unico di uguaglianza, di prosperità, di bellezza. Una venere che racchiudeva il vero concetto d’amore, una pace spirituale e temporale concreta, oggi quanto mai attuale.
La scultura aveva una funzione celebrativa rispetto alla stirpe Rumjancev, che aveva posto fine a ben tre guerre, quella con la Svezia, la Turchia e ancora la Svezia, cambiando così la storia della Russia.
La scultura venne trasferita dal palazzo Rumjancev, splendido esempio di architettura neoclassica con monumentali colonne corinzie in facciata e un Parnaso nel timpano, al Museo Nazionale Khanenko di Kiev nel 1953. Oggi è stata messa in salvo dai bombardamenti, dalla distruzione.
Un popolo si riconosce dalla sua storia, dalle sue architetture e dall’arte di cui in parte è committente. Noi siamo quello che viviamo, quello che arriva dal nostro passato e a pochi giorni di distanza dalla grande festa, o show, dello scorso 9 Maggio in Russia, data in cui si ricorda l’anniversario della dichiarazione di resa nazista del 1945, al termine della seconda guerra mondiale, questa scultura, quest’opera d’arte appare ancor più necessaria.