“Io chiedo una reazione”, dice Vezzoli. Esporre una genealogia dell’amore attraverso le Story di Instagram significa chiedere una reazione a più di un miliardo di utenti da tutto il mondo e, in particolare, ai più di 400 mila follower di Fondazione Prada. Quella che l’artista e la fondazione milanese lanceranno l’11 maggio è la prima opera d’arte pensata per – e la cui vita si svolgerà su – Instagram. Ideata prima del lockdown e curata da Eva Fabbris, durerà in 10 settimane. Sarà un sondaggio di cinque immagini a settimana, i risultati saranno pubblicati il sabato e la domenica verranno interpretati da un commentatore d’eccezione. Dopo aver sperimentato con il linguaggio del cinema neorealista e con quello hollywoodiano, Vezzoli prova a farlo con Instagram, ogni settimana con un nucleo tematico ispirato alle arie dell’opera lirica.
Dove stai trascorrendo il lockdown?
A Milano, nel centro dell’epicentro.
Com’è nato il progetto?
Oggi tutti si confrontano con la digitalizzazione, da Barbara d’Urso alla Fondazione Prada. Durante il lockdown, abbiamo iniziato a fruire diversamente di cose di cui in passato fruivamo in un certo modo. Noi tutti ci auguriamo di tornare alla normalità – è una frase fin troppo banale – ma ora dobbiamo accettare la sfida di una diversità.
Molti musei credono che digitalizzare voglia dire riprendere con un drone quello che c’è dentro alle proprie sedi, cosa che trovo di una malinconia assoluta. Quello lo si poteva fare anche prima e ora, a me, non interessa vedere i Donald Judd disposti bene o male dentro al MoMA. Per l’avanguardia che Fondazione Prada rappresenta, ho pensato a un progetto interattivo e digitale con un contenuto concettuale. “Love Stories” è una genealogia dei sentimenti, un sondaggio digitale su Instagram sotto forma di opera d’arte, di cui le arie delle opere liriche sono la griglia concettuale. È un tentativo di fornire al proprio visitatore-fruitore l’applicazione digitale degli schemi dello scandaglio intellettuale che Fondazione Prada applica quando fa le sue mostre.
Che social media usi?
Su Facebook ho un account gestito da altri, quasi d’ufficio. Quando ero un single che sognava ancora di flirtare avevo Grinder e Tinder. Ho cancellato Instagram.
Instagram è un po’ un un “comfort social-media”, un sistema di immagini rassicuranti che alimentiamo continuamente e che rappresenta, spesse volte in maniera falsata, le nostre vite. Cosa hai imparato su di noi da Instagram?
Dopo Facebook e Twitter, il “terzo figlio” Instagram nasceva come il più frivolo e iconografico. In una società che è delle immagini e non delle parole, è diventato presto il social vincente. Quando c’è stato il picco di drammaticità legato al virus – sperando che sia passato – ho trovato Instagram profondamente inadeguato. Tutti gli influencer hanno “toppato”, avrebbe detto Pippo Baudo – esclusi Chiara Ferragni e Fedez, che invece hanno usato il medium in maniera costruttiva. Le star della televisione hanno mantenuto una loro dignità o compostezza. L’ho disinstallato: vedevo post di utenti con le chiappe di fuori, sulla noia della quarantena e la nostalgia di Ibiza. Uso una parola un po’ tragicomica, ma si tratta di energia. Nel momento in cui ci rendiamo pubblici dobbiamo essere consci che ciò che facciamo raggiunge una certa fetta di pubblico, quindi dobbiamo ben meditare sul tipo di energia che stiamo trasmettendo. Quelle rare volte che lo riscarico dalla ‘nuvoletta’ mi ritrovo in un fiume di immagini profondamente disturbanti, da qualunque parte del mondo provengano.
E ora che siamo chiusi in casa?
Nel momento in cui noi postiamo le nostre case condividiamo innanzi tutto uno status. Guardiamo questi post dove c’è una cucina grande quanto un appartamento. Bisogna portar rispetto per chi non ha gli stessi tuoi privilegi, in un momento in cui la mancanza di privilegi può voler dire maggiore esposizione al dolore, al male e alla malattia.
È generazionale?
Secondo me è un problema col dolore. Ad esempio, anche io sono rimasto molto dispiaciuto per l’incendio a Notre-Dame, Instagram era inondato di mani giunte. Ho grande rispetto per la religione cristiana e trovo che Papa Francesco – benché io non abbia il dono della fede – sia in questo momento il leader più interessante, più impattante, più capace anche di gestire le immagini. Abbiamo visto tante manine giunte per quei fottuti mattoni caduti da Notre-Dame – lo puoi proprio mettere! Ma quante ne abbiamo viste per queste migliaia di morti? Non stiamo facendo l’hit-parade del dolore ma è evidente che Instagram sia incapace di articolarlo.
Perché hai scelto di parlare d’amore su Instagram?
Ho scelto l’amore per un luogo dove di solito non c’è. La pandemia, ancora di più, ci forza a riconsiderare i termini del nostro rapporto con i sentimenti. Per dei fatti evidenti: chi è single è molto più solo, chi è in famiglia deve viverla in una maniera molto più coesa. Quindi le declinazioni dell’amore sono tornate ad essere in primo piano perché è assente la possibilità della dimensione edonistico-seduttiva multi-Grinder e multi-Tinder. Ora su questi social c’è un disclaimer, “noi continuiamo ad esistere, ma voi siete pregati di non incontrarvi”. È di per sé un’opera d’arte concettuale.
Fare una mostra in una galleria significa pensare a un pubblico preparato, o almeno curioso. Instagram è una piattaforma terza e privata, con oltre un miliardo di utenti attivi. Come ti sei rapportato a questo cambio di pubblico?
Parto da un esempio. C’è un’immagine, che non so se useremo, di Imelda Marcos e Ronald Reagan che ballano a una festa in maschera, sono tutti vestiti di bianco. Le due alternative sono “White party” e “White collar”. È un’immagine di una complessità enorme: un presidente degli Stati Uniti balla con la moglie di un dittatore. Perché un personaggio così discutibile si trova alla Casa Bianca e balla con un presidente? Quando già si sapeva, fra l’altro, che i diritti umani nelle Filippine non erano rispettati. Con il sondaggio giochiamo sull’idea di classismo e di divisione sociale. I livelli di lettura dell’immagine sono molteplici, non è prevedibile quale sarà la reazione degli utenti, o se riconosceranno queste persone. Si torna alla prima domanda: perché è difficile fare un’opera d’arte digitale su Instagram? Perché Instagram non ha un pubblico che entra fisicamente dentro la Fondazione Prada, è Instagram che entra nel mondo del visitatore. Questa però è una bellissima sfida dove il pubblico mainstream diventa un po’ la nostra opera d’arte.
Immagine di apertura: Francesco Vezzoli. Photo Ugo Dalla Porta. Courtesy of Prada
- Progetto:
- Love Stories – A sentimental survey by Francesco Vezzoli
- Artista:
- Francesco Vezzoli
- Curatrice:
- Eva Fabbris
- Per:
- Fondazione Prada
- Date :
- 11 maggio 2020, per 10 settimane
- Dove:
- Account Instagram di Fondazione Prada