Ci incontriamo in Fondazione Prada, a Milano, in una grande sala soleggiata a cui si accede da una rampa di scale accanto al Bar Luce di Wes Anderson. È venerdì, ora di pranzo, e la notizia dei primi contagi da Coronavirus nel Nord Italia si è appena diffusa; tra poche ore sarà indicata come la terza zona più infetta al mondo. Nel giro di poche ore, Milano sembrerà una città fantasma. Sul tavolo che mi separa da Danny Boyle, autore di classici contemporanei come Trainspotting, The Beach e 28 giorni dopo, regista premio Oscar di Slumdog Millionaire, e altri ancora, si trovano due pile di fogli bianchi, bicchieri, bottiglie d'acqua, tazze e teiere e il mio Google Pixel, che trascrive automaticamente la nostra conversazione in tempo reale. Indossa una camicia grigia e un pullover di una tonalità di grigio un po’ più scuro. Durante la nostra chiacchierata sorride molto, a volte guarda di lato, come per evocare le risposte dall'aria, pescandole da qualche fonte invisibile, o si appoggia all'improvviso sullo schienale della sua sedia e mi squadra. Se dovessimo descriverlo con una sola parola, quella più adatta per il regista britannico sarebbe “appassionato”. Su questo non c'è dubbio.
Dopo Damien Hirst, Nicolas Winding Refn e altre divinità del pantheon delle arti visive e del cinema, Danny Boyle è l'ultimo curatore della serie “Soggettiva”, una retrospettiva cinematografica per la quale ha concepito una selezione che ruota intorno alla crescente presenza dell'automazione nel nostro mondo. La “Soggettiva" di Boyle presenterà classici come Alien, Blade Runner e il primo Terminator, ma anche film più recenti come Ex Machina di Alex Garland, Her di Spike Jonze e Wall-E della Pixar, inframmezzati da capolavori poco conosciuti come Demon Seed o Tetsuo di Tsukamoto o Elephant di Adam Clarke - sì, Guns Van Sant gli ha dedicato il titolo del suo celebre film del 2003, vincitore una Palma d'Oro a Cannes.
La fantascienza è, secondo Danny Boyle, “il genere artistico più importante per i nostri tempi“. Il film che ha dato il via a “Soggettiva” è L'uomo del futuro (THX 1138), il primo film diretto da George Lucas.
Perché THX e non Star Wars?
Non sono mai stato un grande fan di Star Wars. Penso che sia stato perché quando è uscito ero un punk e il punk era molto lontano da questi film fantasy.
Fantasy?
Ci sono due rami della fantascienza. C'è la fantascienza fantascientifica dove letteralmente tutto va bene. Si possono inventare pianeti e creature e niente ha una reale somiglianza con la realtà. Non mi ha mai interessato molto.
E l'altro ramo?
L'ho capito facendo uno space movie che si intitola Sunshine. L'altro ramo della fantascienza cerca con maggiore o minore successo di mantenere un piede nel mondo reale. Le storie hanno dei parametri un po’ più ristretti, non sono così libere perché devono rimanere entro certi parametri, ma io amo quel ramo della fantascienza.
Quindi, sei un fan della fantascienza.
Sì.
Ai tempi, film come Terminator sembravano una pura distopia del divertimento, ma nell'era di Alexa la percezione è cambiata.
Un tempo la fantascienza era divertente, anche se magari ti spaventava. Era divertente. E ora penso che sia il modo più critico di guardare a ciò che affrontiamo, il punto di svolta di ciò che sta arrivando.
Intendi dire vivere a fianco delle macchine intelligenti?
Sì, come l'inizio di un sistema di credenze basato sul machine learning, o sui dati. Vivremo in un universo centrato sui dati, dove i dati saranno molto più importanti di Dio, o del denaro, o di tutte le altre cose a cui abbiamo creduto in passato.
C'è qualche film di fantascienza importante per te? Intendo personalmente.
Una delle esperienze fondamentali che ho avuto è stata vedere Solaris.
Hai scelto Solaris per Soggettiva?
Sì, quello originale di Tarkovskij, non il remake di Soderbergh. Nel Solaris originale non c'è molto da guardare. Ma c'è un sortilegio. Per me è stato un grande cambiamento in termini di cosa fossero i film e di cosa fossero capaci di fare nella loro consapevolezza.
Intendi dire intellettualmente?
Intendo tutto ciò che siamo e cosa siamo capaci di fare. Questo comincia a essere compreso ora, mentre il machine learning comincia a sostituirci, come inevitabilmente accadrà. Qual è il nostro valore se non quello di consumatori di ciò che le macchine creano?
È una domanda cruciale, anche per quanto riguarda la nostra ragion d'essere in un mondo futuro dominato dall'automazione. Hai una risposta per questo?
La mia risposta è la cultura, ma una cultura che coinvolge l'amore e la debolezza e i difetti in noi. Questo è ciò che la cultura esplora, mentre le macchine sono la perfezione, che noi non saremo mai.
Saranno le macchine a possedere il futuro, il nostro futuro?
Mi è chiaro che abbiamo un futuro solo se sviluppiamo la cultura. E intendo dire, enormemente di più, nel modo in cui 20 o 30 anni fa il mondo medico ha iniziato a dirci “bisogna fare esercizio”. Ora l'abbiamo accettato, è una cosa che riteniamo normale. Dobbiamo costruirne dieci di queste (Fondazione Prada, ndr) a Milano, dobbiamo costruirne cento in una città più grande. Bisogna farne una parte fondamentale della vita delle persone quasi come i trasporti.
Quindi “scegli la cultura” è la nuova ”scegli la vita”, che era il tormentone di Trainspotting.
Credo che una partecipazione attiva alla cultura sia fondamentale, come quando decidi di vedere un film. Che può essere semplicemente prendere la metropolitana per andare al cinema. Ecco perché distinguo il cinema dalla televisione. La televisione è molto più passiva. Ti siedi a casa, è tutto così comodo. Cosa c'è di più bello che poter guardare The Irishman (il film di Scorsese prodotto da Netflix, NdR) a casa in televisione, ma sai, poi Netflix ti consiglia un altro film, e poi una serie tv, e poi un altro episodio.
Il binge-watching è uno schema totalmente passivo.
La parte attiva è la macchina che ti guarda.
Recentemente ho avuto modo di incontrare Derrick de Kerchkove, e durante la nostra conversazione ha sottolineato l'importanza del design digitale, inteso come ruolo attivo nella progettazione di applicazioni e opzioni per gli assistenti virtuali, che poi sono il più tangibile punto di contatto con il mondo delle macchine per buona fetta della popolazione mondiale. Pensa che possiamo resistere alle macchine, se necessario?
Hollywood ha una lunga storia di film su chi resiste alle macchine. Penso che sia piuttosto ingenuo. La nostra abitudine al consumo è così conveniente ora che non sono sicuro che possiamo cambiare.
In questa visione, le macchine sembrano quasi i guardiani del consumismo.
Ma può anche darsi che le macchine nel momento della vera singolarità decidano che dobbiamo smettere di consumare, per riequilibrare il pianeta, e che decidano per noi, e un giorno magari la tua automobile non si accenderà. L'intelligenza artificiale diventerà così una versione evoluta della nostra intelligenza. E questo vale anche per le epidemie, per esempio.
Le macchine potrebbero salvarci da, diciamo, un ipotetico COVID-20?
Se un assistente digitale vi sta monitorando e per esempio iniziate a tossire frequentemente, e vi svegliate starnutendo o con la febbre, potrebbe decidere, in connessione con altre macchine che si prendono cura delle persone, che questo risulti insolito. “Dobbiamo isolare questa persona in caso il virus si trasformi in un superspreader”, potrebbero dire le macchine. Chiuderanno la casa come nel film Demon Seed (uscito nel 1977, ndr). E ancora di più, la decisione potrebbe essere di eliminare la persona, perché se riesce a lasciare casa, potrebbe uccidere 10 milioni di persone diffondendo il virus.
Sembra il paradosso delle auto a guida autonoma, che in alcuni scenari possibili potrebbero decidere di sacrificare il guidatore per non uccidere due o più pedoni.
La guida automatica potrebbe essere realtà nel giro di cinque anni, ma potrebbe essere più veloce. L'UE ha l'apparente potere di ritardare queste cose, ma le aziende sono così vaste oramai che non permettono che le loro decisioni siano influenzate dai singoli Paesi. Facebook sta lanciando il suo bitcoin, la sua portata è così enorme che pensano “dovremmo avere la nostra moneta“. Presumibilmente, avremo anche i passaporti di Facebook.
C'è questa recente notizia di un'intelligenza artificiale capace di scrivere poesie.
La musica è una delle cose che amo di più e che sembra la più mistica delle cose. Non lo è, tra le forme d'arte è la più facile da replicare, molto più facile della scrittura o molto più facile della pittura per esempio. Macchine come Emily – di solito danno loro nomi di donna - possono scrivere musica. E va bene, probabilmente è in grado di creare il perfetto beat da discoteca.
Potremmo discutere a lungo se questa sia arte o no.
La debolezza è sempre stata al centro dell'arte, non la perfezione. Nella cultura guardiamo alle nostre debolezze, alle nostre imperfezioni e vulnerabilità. Se a una macchina si raccontassero i difetti fatali degli eroi di Shakespeare, cercherebbe di sradicarli. È quello che fa una macchina quando interviene: fa piazza pulita per lasciare spazio alla perfezione. Ma noi non siamo migliori dei personaggi di Shakespeare. Siamo imperfetti e credo che sia questo che la cultura esplora. Ecco perché è fondamentale per la nostra esistenza. Ed è per questo che non sarà mai sostituita dalla versione tecnologica della cultura, che esisterà e diventerà sempre più sofisticata, ma a cui mancherà sempre qualcosa.
È qualcosa che possiamo vedere nei film che hai selezionato per la “Soggettiva”?
La cosa che collega la maggior parte di questi film è l'amore.
Sto guardando il nuovo spin-off della serie di Star Trek, si chiama Picard. Era molto attesa perché rappresenta il ritorno del capitano di Next Generation, sempre interpretato da Patrick Stewart.
Sì, lo sto guardando anche io.
Fin dalla metà degli anni Sessanta, Star Trek è stata simbolo di un approccio ottimistico alla fantascienza. Ma Picard è in realtà piuttosto oscuro. Pensi che questo rappresenti un cambiamento nel modo in cui guardiamo al futuro?
Penso che la distopia sia più facile da raccontare.
Molti dei film della tua "Soggettiva" sono distopie.
Sì, ma considera Lei, il film di Spike Jonze. È un film molto benevolo e molto potente perché la società sembra essere molto benigna. Anche Ex Machina è ambientato in un futuro apparentemente armonioso, con questa intelligenza artificiale... È interessante il fatto che sono sempre donne.
La più famosa è ovviamente Siri. Hai diretto anche il più celebre biopic su Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender. Sotto molti aspetti Apple con iPhone ha plasmato profondamente il nostro presente, introducendoci in un contesto di profonda automazione.
Il suo principale obbiettivo operativo era alla base di tutto deve esserci l'intuizione. Ha creato queste macchine che dovevano essere così intuitive che un bambino potesse farle funzionare. E infatti i bambini lo fanno. Una macchina che ti dà la sensazione di un'autonomia che va oltre le tue capacità. La capacità di sapere qualsiasi cosa. Ma il problema è che la convenienza non ti arricchisce davvero. Sembra che tu conosca la risposta ad ogni domanda. Ma in realtà bisogna cercarla ogni volta. I nostri ricordi sono in declino, non abbiamo più bisogno di ricordare centinaia di numeri di telefono come una volta.
Io per esempio non faccio niente senza cercare su Google, non riesco nemmeno scrivere il più semplice degli articoli.
Penso che una delle cose che sono scomparse a causa della comodità sia il senso di resistenza. Siamo come quelle creature di Wall-E, che mangiano roba in sogno, diventano sempre più grassi e cordiali. È molto divertente perché non riescono più nemmeno a camminare! I poveri vengono sfamati: società della convenienza, cibo conveniente. Non c'è bisogno di muoversi, si può guardare The Irishman a casa all'infinito. E non dimenticate il cibo a domicilio. Il che è pazzesco, vogliamo le cose, siamo preoccupati per il cambiamento climatico, ma allo stesso tempo vogliamo che le cose arrivino a casa, “Non voglio aspettare fino a domani”! Il New York Times dice che entro il 2030 un americano su due sarà obeso e uno su quattro sarà gravemente obeso.
Forse negli anni Ottanta era più facile immaginare un futuro simile a Blade Runner rispetto a questo.
Uno dei problemi dei film è che sono molto seducenti, e Ridley Scott è un regista straordinario. Fa sembrare tutto il mondo davvero cool E ricordo proprio di aver pensato: "Spero che il futuro sia così".
Hai visto la “K”, la mostra ispirata ai romanzi incompiuti di Kafka, qui in Fondazione?
La solitudine è interessante, vero? Uno degli scopi di questo nuovo mondo digitale era quello di metterti in contatto con tutti, sempre. E ora dicono che la solitudine sta aumentando. Non saremo mai perfetti, non siamo costruiti come si costruisce una macchina. Noi pensiamo di esserlo, facciamo le Olimpiadi e Usain Bolt sembra correre più veloce di chiunque altro. E tu pensi che ci stiamo evolvendo. Ma Usain Bolt è vulnerabile come chiunque all'amore e alla solitudine.
Usain Bolt è un atleta incredibile, ma è comunque un uomo, non una macchina.
Qualcuno dice che è la coscienza che distingue gli uomini dalle macchine, ma c'è qualcosa al di là della coscienza... anche se sono sicuro di cosa sia esattamente. Ha a che fare con la nostra vulnerabilità. È quella cosa che la cultura tocca, avvicinandoti alla sua comprensione senza distruggerti. Ti dice che non sei solo, perché c'è qualcun altro che l'ha già sperimentato. Ti parla in qualche modo. E ti toccherà.
All pictures by Niccolò Quaresima.
- Title:
- Soggettiva Danny Boyle
- Where:
- Fondazione Prada, Milan
- When:
- Until July 31, 2020