Alcune note a margine della Biennale d’Arte di Berlino 2018

Intervista a Yvette Mutumba, cofondatrice di C& e membro del gruppo dei curatori della decima Biennale di Berlino.

Mario Pfeifer, Again / Noch einmal , 2018

A 20 anni dalla prima edizione, la Biennale d’arte contemporanea di Berlino si trova ad affrontare un panorama molto differente. Il multiforme gruppo di artisti della decima edizione offre un panorama di esperienze di soggettività marginali, senza enfatizzare la diversità dei risultati – come accade quando capita di trasferire casualmente la propria prassi inclusiva in un contesto istituzionale.  Questa biennale non ha inteso affrontare direttamente i temi dell’oppressione, ma ha usato invece una grammatica sottrattiva per sfidare prospettive e aspettative ordinarie; ha messo in luce le potenzialità inedite, senza dare spazio al privilegio di agire in questo scenario. Non ha posto domande, ma ha piuttosto affermato quello di cui non ha più bisogno.

Quest’anno la Biennale di Berlino ha affrontato alcuni temi importanti relativi alla società contemporanea, analizzandone i punti di vista marginali per favorire nuove configurazioni e dare una prospettiva alle questioni impellenti. In questo contesto inevitabilmente politicizzato come si pone la tua concezione della responsabilità del curatore?
L’attività di curatela è l’occasione e la base per iniziare anche a portare avanti dialoghi e idee sul modo di parlare e a impegnarsi con le soggettività che hanno configurato la storia e il presente. Non ritengo che il ruolo del curatore sia didattico, nel senso che si tratti di creare mostre che insegnano a un pubblico indeterminabile come dovrebbe leggere le opere presentate e come dovrebbe interpretare il mondo una volta usciti dalla mostra. Riguarda invece l’esprimersi attraverso posizioni e linguaggi d’arte sulle possibili narrazioni parallele, e il mettere in discussione gerarchie, strutture di potere e sistemi di sapere.

A proposito di strutture e di sistemi, in questa edizione i curatori hanno coinvolto per la prima volta un gruppo di architetti, lasciandoli liberi di trasformare gli spazi dell’esposizione. Come ha funzionato la collaborazione?
Per noi è stato importante tradurre le nostre idee di curatela in un linguaggio architettonico coerente nei luoghi della mostra. Büros für Konstruktivismus non aveva mai progettato prima un allestimento espositivo. Per noi è stato magnifico perché ha dato all’architettura della mostra un contributo di freschezza. Abbiamo discusso con loro il percorso delle nostre idee di curatela e le espressioni artistiche invitate. Hanno formulato dei suggerimenti che abbiamo trovato così fantastici che in molti casi abbiamo davvero seguito i loro suggerimenti su dove collocare certe opere d’arte. Perciò è stata una collaborazione molto fruttuosa e ricca di ispirazioni.

Il ruolo del curatore riguarda l’esprimersi attraverso posizioni e linguaggi d’arte sulle possibili narrazioni parallele, e il mettere in discussione gerarchie, strutture di potere e sistemi di sapere

Benché parte del programma, molti concetti come il postcolonialismo, l’appropriazione culturale, il femminismo e la blackness non vengono esplicitamente citati nella comunicazione della Biennale. Che cosa vi ha spinto ad affrontare questi temi con tanta discrezione?
Esiste oggi una forte tendenza a realizzare mostre, convegni e simili che tendono a pensare e a lavorare sulla base di questi concetti per essere “politicamente corretti”. Pur essendo naturalmente uno sviluppo positivo, contemporaneamente è anche come se questi termini e questi concetti venissero troppo sfruttati. Troppo sfruttati nel senso che, attraverso la ripetizione continua, questi concetti appaiono svuotati di qualunque significato o prospettiva specifica da parte di chi li usa. Volevamo andare oltre, cercando di inventare una grammatica nuova.

A distanza di quasi tre mesi come ritieni abbia reagito il pubblico della Biennale a questa mancanza di immediatezza?
È difficile a dirsi, perché in teoria il pubblico è così eterogeneo che ciascun individuo che visita la Biennale di Berlino ne trae cose un po’ diverse. Ma naturalmente, tenendo presenti le reazioni alle nostre dichiarazioni rese pubbliche prima dell’inaugurazione della Biennale di Berlino, si può dire che forse tra certe categorie di pubblico c’è un po’ di confusione, dato che non trovano quel che forse si aspettavano. Ma idealmente è comunque una confusione produttiva, nel senso che porta queste persone a osservare la mostra e a entrare in rapporto con essa in modi – per loro – inattesi.

Dato che il linguaggio è essenziale per evitare un’interpretazione superficiale dei temi analizzati in questa edizione, che trae il titolo dalla canzone We Don’t Need Another Hero di Tina Turner, come si identifica con questa specifica scelta verbale la posizione dei curatori?
Citando We Don’t Need Another Hero (“Non ci serve un altro eroe”) abbiamo voluto fare riferimento a un momento che precedeva immediatamente importanti cambiamenti geopolitici che riguardavano cambiamenti di governo e nuove figure storiche. Allo stesso tempo il titolo allude al nostro modo collettivo di sognare, agire e rifiutare il desiderio di un salvatore. Qui il “ci” è un “ci” che si riferisce specificamente a noi come gruppo di curatori, ma è anche il noi di tutte le posizioni artistiche della Biennale, oltre che un noi aperto, che indica che chiunque lo voglia può unirsi a questo noi.

C’è una modifica evidente ai versi di questa canzone, il cui testo corretto è pubblicato sul sito web della Biennale. La parola hero (“eroe”) è stata cancellata, lasciando le parole lui e lei. È il riferimento a un’attenzione per l’identità di genere?
È piuttosto una presa di distanza dall’identità di genere, attraverso la creazione di una possibilità a proposito di chi possa essere questo eroe.

Immagine di apertura: Mario Pfeifer, Again / Noch einmal, video, 2018

Evento:
10th Berlin Biennale
Curatore:
Gabi Ngcobo
Team curatoriale:
Nomaduma Rosa Masilela, Serubiri Moses, Thiago de Paula Souza, Yvette Mutumba
Date di apertura:
9 giugno – 9 settembre 2018
Indirizzo:
Location varie a Berlino
Sito web:
berlinbiennale.de

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