Anywhere Out of the World

La mostra al Palais de Tokyo di Parigi è una “carta bianca” e, contemporaneamente, una retrospettiva di Philippe Parreno, che si appropria immaterialmente di un luogo iconico per l’arte  contemporanea.

Nello spazio del Palais de Tokyo, che per la prima volta è riconfigurato nella sua totalità attraverso la mostra di un solo artista, un corteo di bambini attraversa – a intervalli di tempo irregolari – la quasi totalità dei megaschermi.
Parreno
In apertura: vista della mostra di Philippe Parreno, “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Liam Gillick, Factories in the snow, 2007. Photo Aurélien Mole. Qui sopra: vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Philippe Parreno, TV Channel, 2013 (dettaglio). Courtesy Pilar Corrias Gallery. Sullo schermo: The Writer, 2007. Photo Aurélien Mole.
La mostra è una “carta bianca” e, contemporaneamente, una retrospettiva di Philippe Parreno, artista francese giunto alla notorietà internazionale negli anni Novanta. Il coro infantile scandisce all’unisono e ossessivamente una sola frase: “No more reality”. Si tratta di un lavoro del 1991 e, più che un tentativo di sintesi, è una vera ossessiva sottolineatura del concetto chiave e delle linea guida nella strategia operativa dell’artista.  
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Vista della mostra di Philippe Parreno, “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Dominique Gonzalez-Foerster, La Bibliothèque clandestine, 2013. Photo Aurélien Mole
Investire e appropriarsi immaterialmente di questi 22.000 metri quadrati è stata, di fatto, già un’impresa, visto che si tratta di un luogo  iconico per l’arte  contemporanea. Nel caso di Parreno, il tentativo di decostruzione risulta ancora più evidente: l’ingresso monumentale è stato completamente ridisegnato attraverso uno dei suoi Marquee(s), strutture-insegna mute e composte di sole luci industriali. All’esterno la struttura in plexiglass è estratta da una serie cominciata nel 2006. Altre opere, infine, occupano l’enorme porzione del sottosuolo.
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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Douglas Gordon + Philippe Parreno, Zidane: a 21st Century Portrait, 2006. Courtesy of the artist. Photo Aurélien Mole.
Creando una vera (ma finta) sala di spettacolo, Parreno ha ripensato il funzionamento del Palais de Tokyo fin dalla biglietteria, immergendo i visitatori in un controluce abbagliante, in cui di ogni figura – guardiani, pubblico e funzionari – appare soltanto il contorno.
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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Philippe Parreno, Danny La Rue, 2013 (dettaglio). Photo Aurélien Mole.
Comincia così l’esperienza cinematografica, senza né copione né attori: il pubblico affronta un’attonita e lucida visione dell’altro mondo. Si attraversa l’atmosfera da realismo magico e si sprofonda in una bizzarra coreografia, perdendo il senso di precedenti esperienze espositive. Un’opera illuminante è la struttura cinetica e minimale How can We Know the Dancer from the Dance? (2013) che, installata nell’ampia rotonda, riproduce un palcoscenico su cui udiamo solamente i passi dei danzatori della troupe di Merce Cunningham.
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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Liam Gillick, Factories in the snow, 2007. Photo Aurélien Mole.
Negli spazi del Palais de Tokyo, Parreno ha predisposto un continuum delle installazioni realizzate e pensate lungo tutto il percorso della sua carriera artistica, e riproposte oggi attraverso il filtro – o più probabilmente il fantasma –della collaborazione. La linea di ricerca condivisa con altri artisti è riattivata in chiave totalizzante per l’occasione. Anche l’architettura stessa viene in questo modo reinventata e, su scala monumentale, fornisce il modello per “misurare” e percepire tutte le situazioni in atto.
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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Philippe Parreno, How Can We Know the Dancer from the Dance?, 2012. Courtesy Esther Schipper Gallery. Photo Aurélien Mole.
58 luci funzionano con una devastante intermittenza e la frantumano per costruire un percorso senza interruzioni, ricomposto da una musicalità ritmica ed efficace. Ogni spazio oscurato è regolato da luci riprogrammate e ritmate. Su una parete è stata magistralmente intagliata una libreria segreta, la Bibliotheque clandestine  (2013), realizzata da Dominique Gonzalesz-Foerster che, basculando, si apre verso uno splendido giardino.
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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Philippe Parreno, Automated Doors, 2013. Courtesy of the artist. Photo Aurélien Mole.
Al suo interno, i disegni delle pietre del tempio di Ryoanji di John Cage sono accoppiati a quelli di animali di Merce Cunningham. È la riproposizione di una mostra allestita alla Margaret Roeder Gallery nel 2002 e sembra ricordarci che l’arte è esistita attraverso media più tradizionali e ha conservato la sua efficacia.  Siamo immersi in un mausoleo tecnologico regolato da automi e casualità. Che sia l’apoteosi o il tramonto dell’estetica relazionale poco importa, visto che non senza ironia siamo perseguitati dal fantasma dei progetti passati. In questa luce, ci restituisce un lifting spietato per un luogo che non era stato immaginato nemmeno dai fondatori del Palais de Tokyo Nicolas Bourriaud e Jerôme Sans, tentando di rimuovere i segni del tempo da una fabbrica di senso.
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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Philippe Parreno, La Banque d’accueil, 2013. Photo Aurélien Mole.

In mostra troviamo Liam Gillick, Dominique Gonzalez-Foerster, Douglas Gordon, Randall Peacock e il direttore della fotografia Darius Khondji.

Non è difficile fare un parallelo con l’altra retrospettiva della stagione, quella di Pierre Huygue al Pompidou autore della storica collaborazione con Parreno No Ghost Just Shell. Un progetto spregiudicato, nel quale i due artisti, comprando i diritti del manga giapponese Annlee e inserendolo nel contesto espositivo, aprirono un varco alla nozione di non-autorialità. In questa mostra è il lavoro più riuscito, una metafora precisa del noleggio di concetti da utilizzare ad hoc nel contemporaneo.

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Vista della mostra di Philippe Parreno “Anywhere, Anywhere, Out Of The World”, Palais de Tokyo, 2013. Philippe Parreno, Anywhere Out of the World, 2000. Courtesy Air de Paris gallery. Photo Aurélien Mole


Fino al 12 gennaio 2014
Philippe Parreno. Anywhere, Anywhere Out of the World
Palais de Tokyo, Parigi

 

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