Per più di un mese Gamper ha abitato a Torino. Ha chiesto solo un piccolo letto, l'ha sistemato all'ultimo piano della Fetta e ha iniziato a esplorare la città e i suoi oggetti a partire da quella stanza dell'edificio, nel tentativo di capirne davvero le proporzioni, nell'intento di misurare le opere per questa mostra in relazione a quello spicchio di città così speciale, per storia e geometria. A Torino, Gamper ha iniziato a selezionare, cercare e raccogliere mobili usati. Credenze, tavoli, armadi e comodini che, per materiale e forma, hanno caratterizzato l'atmosfera domestica di una certa borghesia piemontese tra gli anni '50 e i '70. Qualche mobile d'artigianato, i tavoli delle cucine italiane del dopoguerra — gambe di metallo e piano di formica colorata — gli armadi di legno verniciati e lucidati che svelano, una volta affettati, una sezione leggera di cartone compressa tra due strati di laminato.

La città e la sua atmosfera, per frammenti, angoli e dettagli sembrano raccogliersi nel condominio di nuovi pezzi unici composti da Martino Gamper, per forma, geometria e colore. Ma forse l'opera più carica di senso di Martino è la mostra stessa.
