Il capolavoro dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, è stato tradotto in decine di lingue e ha venduto oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo. Oggi, Netflix, la piattaforma di streaming con quasi 300 milioni di abbonati in oltre 190 Paesi, ha trasformato il romanzo in una serie televisiva: una delle produzioni audiovisive più ambiziose mai realizzate in America Latina.
Alla scoperta della vera Macondo: la città che ha ispirato Cent’anni di solitudine
Aracataca, fonte d’ispirazione per l’universo narrativo di Gabriel García Márquez, è lontana anni luce dalla Macondo ricostruita nella serie Netflix, una rappresentazione che non porta alcun beneficio alla città reale.
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- Kurt Hollander
- 23 dicembre 2024
Riprese in Colombia: un impegno alla “fedeltà”
I produttori della serie hanno sottolineato con orgoglio il loro impegno a restituire l’autenticità del romanzo, scegliendo di girare in Colombia con un cast prevalentemente locale. Tuttavia, per ricreare il mondo immaginario che ha consacrato il “realismo magico”, sono stati investiti milioni di dollari nella costruzione di una nuova Macondo. Questa versione cinematografica, situata nella Colombia centrale, dista centinaia di chilometri dall’ambientazione originale e presenta un’estetica che mescola strade sinuose e architetture eleganti a due piani di stampo europeo, con balconi in legno, archi pedonali e lampioni a gas. Un’immagine che si discosta profondamente dalla semplicità rurale della regione delle piantagioni di banane e dalla vera Macondo.
Macondo: finzione ispirata dalla realtà
Macondo, la città immaginaria di Cent’anni di solitudine, è descritta dallo stesso García Márquez come uno “stato mentale” più che un luogo concreto. Tuttavia, si ispira a una città reale da cui prende anche il nome, situata circa 30 chilometri a nord di Aracataca, paese natale dello scrittore. Questo piccolo centro è composto da poche case di legno e terra battuta, con soffitti alti e ventilazione naturale, progettate per resistere al caldo torrido e alle piogge tropicali. Gli edifici non residenziali si limitano a due negozi, una scuola elementare e una chiesa cattolica ormai in disuso. Intorno si estendono campi di banane, inclusa la piantagione che ha dato il nome al villaggio, dove lavora la maggior parte degli abitanti.
Sevilla: la “company town” della United Fruit
Accanto alla modesta realtà di Macondo si trova Sevilla, una delle prime città moderne della Colombia. Fondata dalla United Fruit Company per ospitare i dirigenti americani, Sevilla era una tipica “company town” (città aziendale), con grandi case in stile ranch costruite in cemento e protette da una recinzione elettrificata – soprannominata dai residenti di Macondo “il pollaio”. La città era ben connessa al mercato globale, grazie a una strada a due corsie che conduceva alla costa caraibica e a una linea ferroviaria merci con una stazione strategicamente posizionata.
Lo sfruttamento e il massacro del 1928
Come descritto nel romanzo, la United Fruit Company, attiva nella regione dal 1870, trasformò la Colombia in una “repubblica delle banane” monocolturale, prosperando attraverso l’esproprio delle terre e lo sfruttamento della manodopera. Nel 1928, in risposta alle disumane condizioni di lavoro e ai salari irrisori, 25.000 braccianti agricoli organizzarono il più grande sciopero sindacale nella storia colombiana. La risposta fu brutale: su pressione della United Fruit e del governo statunitense, le autorità colombiane inviarono 700 soldati per reprimere la protesta. I leader dei lavoratori furono convocati nella piazza principale di una città a nord di Macondo con la promessa di negoziati, ma vennero massacrati sotto il fuoco incrociato di mitragliatrici posizionate sui tetti.
Paramilitari e violenza senza fine
Dopo il massacro, i dirigenti americani della United Fruit si rifugiarono nelle loro abitazioni fortificate a Sevilla, tentando di sfuggire alla rabbia della popolazione locale. I lavoratori, in rivolta, distrussero diversi edifici della compagnia, comprese le residenze degli ingegneri, e presero d’assalto le case dei dipendenti americani. Il console statunitense in Colombia, riferendosi all’episodio, dichiarò: “Il fatto che i residenti americani [della United Fruit] ne siano usciti vivi è dovuto alla resistenza opposta per sei ore contro la folla che tentava di ucciderli”. In quei momenti drammatici, lo stile di vita “americano” rivelò la sua vera natura: le case dei dirigenti erano di fatto bunker, costruiti in cemento armato, dotati di sistemi elettrici indipendenti, comunicazioni autonome e armerie private. Questi rifugi non erano solo simboli di status, ma strumenti di sopravvivenza. Tuttavia, molti braccianti che presero parte ai saccheggi vennero identificati a Macondo dagli squadroni della morte e giustiziati.
La Macondo di Netflix: un distacco dalla realtà
Nel romanzo, la violenza è parte integrante della narrazione, ma la fama globale di Cent’anni di solitudine e della nuova serie Netflix tende a offuscare questa realtà. L’adattamento privilegia un’estetica nostalgica fatta di abiti sgargianti e scenografie pittoresche, alimentando l’illusione che quel passato appartenga a un’epoca lontana. Eppure, la brutalità associata all’industria delle banane è tutt’altro che superata. Gli squadroni della morte della United Fruit si sono evoluti in potenti gruppi paramilitari al servizio di narcotrafficanti e multinazionali. Chiquita Brands, l’erede della United Fruit dal 1970, ha mantenuto un ruolo controverso, finanziando gruppi armati e violando sistematicamente i diritti umani nella regione. Di recente, è emerso che la compagnia ha sostenuto economicamente le Forze Unite di Autodifesa della Colombia (AUC) e, in seguito, il Clan del Golfo, la più grande organizzazione paramilitare colombiana, responsabile di omicidi di attivisti sindacali e lavoratori delle banane. Il coinvolgimento di Chiquita non si è limitato ai finanziamenti: l’azienda ha permesso ai paramilitari di usare i suoi porti e le sue navi per contrabbandare armi e trasportare cocaina, nascosta tra le casse di banane o tra i frutti stessi – un macabro richiamo al “realismo magico” di García Márquez.
Dopo oltre un secolo di sfruttamento, Macondo non ha tratto alcun beneficio né dall’industria delle banane né dal narcotraffico; ciò che le rimane è una storia di violenza e miseria, risultato di un’economia globalizzata ed estrattiva che sacrifica il benessere locale. Priva di hotel, ristoranti o caffè ispirati al romanzo e che fanno da sfondo ai selfie dei turisti, Macondo è lontana anni luce dall’elegante città ricostruita per Netflix. La serie, nonostante la sua spettacolare produzione, non farà altro che accentuare il divario tra l’immagine esotica e globalizzata della Colombia e la cruda realtà di sfruttamento e violenza che il Paese continua a vivere.