Ha 50 anni ma sembra che di vite ne abbia già vissute molte. Da enfant prodige nello studio di Rem Koolhas, a intraprendente giovane architetto nel suo primo studio Plot con il collega Julian de Smedt, ad archistar globale che in poco tempo ha “metabolicamente” ampliato da 1 a 700 persone il suo studio, con sedi oggi a Copenaghen, New York, Londra e Barcellona: Bjarke Ingels, Guest Editor Domus per il 2025, è un interprete dell’architettura contemporanea che associa ad un talento creativo indiscutibile la freschezza giocosa di un Peter Pan e l’abile disinvoltura nel fare marketing di un Donald Draper (imprevedibile e infallibile genio dell’advertising, protagonista dell’iconica serie televisiva “Mad Men”, NdA). E proprio questa pluralità di sfumature rende difficile un’univoca definizione del suo profilo, anche se alcuni tratti connotanti emergono in modo deciso. Da un lato, l’approccio ludico e divertito al progettare, tipico di chi adora il suo lavoro, lo fa con gioia e in modo non troppo sottilmente modesto: del resto, il suo studio si chiama “Big”, acronimo di Bjarke Ingels Group, ma significa anche “grande”.
Dall’altro, la straordinaria capacità comunicativa, che spazia dalla pubblicistica (il suo “Yes is More: An Archicomic on Architectural Evolution”, 2009, è un accattivante racconto a fumetti del suo lavoro) ai documentari (in “Big Time”, 2017, si racconta al regista Kaspar Astrup Schröder ripercorrendo cinque anni della sua vita).
Infine, la propensione per la definizione della complessità attraverso elementi semplici, per cui le sue opere non denotano un approccio intellettualistico ma anzi scaturiscono da schemi che garantiscono un risultato di immediata lettura e assoluta riconoscibilità. Nel corso del tempo Big ci ha abituato alla meraviglia che generano le sue euforie volumetriche, i suoi dirompenti giochi plastici e le sue acrobazie geometriche tra estrusioni, rotazioni e torsioni rese possibili da una spinta modellazione parametrica, che sono strumenti utili per dare forma a quella che lui chiama l’”utopia pragmatica”: una visione di architettura asintoticamente tendente all’ideale ma saldamente ancorata al reale, per rispondere concretamente alle esigenze imprescindibili di chi la vive (dall’accessibilità, all’orientamento, alla privacy, alla visuale, alla ventilazione). Domus ha selezionato alcune opere che, in un arco temporale di quasi vent’anni, risultano particolarmente rappresentative del suo pensiero: dagli interventi abitativi (The Mountain, Sluishuis) alle infrastrutture urbane (CopenHill, Superkilen), dalle architetture per la cultura (The Twist) e il lavoro (Google Gradient Canopy), ai masterplan territoriali (Gelephu Mindfulness City).
Nella consapevolezza che, mentre scriviamo, la sua ricerca sta già puntando verso nuove mete, tra città sull’acqua (Oceanix City), quartieri stampati in 3d (Codex) e insediamenti sulla Luna (Nasa Olympus) e su Marte (Mars Science City).