Che la rincorsa al primato sia un’attitudine correlata al narcisismo e al bisogno di autoaffermazione del genere umano è un dato noto e il Guinness World Records – il documento che raccoglie tutti i primati del mondo, da quelli naturali a quelli antropici – ne è una manifestazione evidente.
L’idea di collezionare, selezionare, celebrare ogni possibile tipo di record venne all’amministratore delegato delle birrerie Guinness di Dublino che, dopo una battuta di caccia, osservò come alcuni uccelli fossero riusciti a fuggire grazie alla loro velocità e finì per imbastire con gli astanti una conversazione su quale fosse l’uccello più veloce in Europa. Da qui, la raccolta di primati edita annualmente dal 1955 che del birrificio mantiene il nome pur essendo da tempo da esso scollegata.
Tra le tante bizzarrie che il libro annovera, l’architettura non perde certamente l’occasione di farsi notare. Dall’edificio più pesante, al più snello, al più leggero; dalla chiesa più grande al grattacielo più piccolo; dal labirinto verticale più alto agli edifici con le forme più improbabili (di lettera dell’alfabeto, di scarpa col tacco, di pollo) o con la massima densità di marmi bianchi di rivestimento.
Se la gloria “certificata” attraverso un superlativo assoluto placa l’ansia da prestazione solo temporaneamente (almeno finché non sopraggiunge un nuovo, surclassante risultato), resta la (modesta, NdA) soddisfazione, parafrasando Oscar Wilde, di fare parlare di sé, nel bene o nel male purché se ne parli.