Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1076, febbraio 2023.
Dall’Empire State Building a City Life: il grattacielo raccontato dalla satira
Dalla sua nascita, il grattacielo ha ricevuto stupore e sdegno. E la satira grafica ne ha fatto un suo protagonista moderno, in una città soprattutto: New York.
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- Gabriele Neri
- 19 febbraio 2023
Il grattacielo ha suscitato critiche fin dalle sue origini. Scontando un peccato biblico (vedi la Torre di Babele), la corsa architettonica verso il cielo ha attirato stupore e sdegno, per dubbi tecnici e urbanistici, estetici e sociali. Scriveva Montgomery Schuyler nel 1903: “Come Frankenstein, rimaniamo inorriditi davanti al mostro che noi stessi abbiamo creato […]. Queste cose hanno trasformato lo skyline di New York in una catena montuosa orribilmente seghettata”. Una delle fonti più curiose per la reazione pubblica è la satira grafica. Del resto, con le sue sproporzioni dimensionali il grattacielo sembra la caricatura di un edificio. Nel 1881, Thomas Nast si allontanò per un attimo dalla satira politica per ritrarre – con preveggenza – la downtown del futuro come una foresta di torri, ancora in stile.
Negli anni Venti, si moltiplicheranno i cartoon sul tema: humour bonario (un paracadutista che si infilza sull’antenna del Chrysler), ma anche più fosche riflessioni. Su The New Yorker, Reginald Marsh vedeva la città come una selva oscura, mentre sul giornale marxista The New Masses si dipingeva l’Empire State Building come una tomba per gli operai morti in cantiere.
Curioso il progetto di Piero Portaluppi per un mastodontico grattacielo. Un sogno? Il nome (S.K.N.E.) svela i dubbi (e l’ironia) dell’architetto milanese, giacché sciogliendo l’acronimo si legge: “Skappane!”. Con l’avvento dell’International Style fioccheranno le parodie del grattacielo come scatola astratta, ripetuta e ripetitiva, per ossessione geometrica o facile guadagno.
Si distinguono le Graph Paper Architectures di un artista come Saul Steinberg, carta millimetrata che diviene la perfetta rappresentazione della monotonia modernista. Ma il rigore svanirà e le caricature scherniranno allora la mania degli architetti (postmoderni, decostruttivisti e così via) di stupire a ogni costo.
Come Frankenstein, rimaniamo inorriditi davanti al mostro che noi stessi abbiamo creato
La più acuta è per Milano: da simboli di modernità, le torri di Isozaki, Hadid e Libeskind saranno paragonate a tre vecchietti malandati. A quello più incurvato, l’allora premier Silvio Berlusconi suggerì un po’ di Viagra. Per concludere, le Twin Towers: odiate all’epoca (1973), furono derise da innumerevoli vignette, prima che l’11 settembre le trasformasse in icone sacre. La tragedia provocò un forte dibattito sul ruolo della satira (riacceso nel 2015 dall’attentato a Charlie Hebdo); dopo il lutto, tuttavia, molti decisero di riderne ancora, con un dark humor: dalla funzione catartica.
Stranamente, sono ancora poche le caricature sulle recenti pencil tower, altissime e sottilissime. Eppure, la loro eccessiva snellezza ha già creato grattacapi degni di J.G. Ballard (Il condominio, 1975): ascensori bloccati, rumori assordanti e cortocircuiti, causati da sviste strutturali.
Harper's Weekly, 1881
Alan Dunn, untitled, 1930 ca
Walter Steinhilber, The New Masses, 1931
Courtesy of Fondazione Piero Portaluppi
Saul Steinberg