Per chi, come diceva José Saramago, crede che “i deserti non sono solo quelli privi di uomini” e che anzi “non è raro trovare deserti e aridità mortali tra le folle”, la scelta di appartarsi in luoghi remoti dove riconciliarsi con sé stessi e con il mondo tra la sabbia, le rocce e il solo rumore del vento non sembra così bizzarra. Per questo, non sono inusuali opere firmate da validi architetti che in tutto il mondo realizzano, in territori aspri e impervi, il buen retiro per committenti che, a congestionate città, preferiscono la solitudine di immensi spazi aperti, o le abitazioni per chi trova in questi contesti un lavoro e quindi un futuro.
Le architetture del deserto allora si attrezzano con accorgimenti progettuali e tecnologici – dal solare passivo, allo studio dell’orientamento, dei flussi di ventilazione incrociata e dei sistemi di ombreggiamento, all’uso di materiali naturali reperiti localmente e dotati di inerzia termica – per affrontare climi estremi, partendo dall’esigenza bivalente di abbattere, da un lato, l’impronta ecologica e, dall’altro, di fornire a chi le abita un rifugio sicuro, confortevole ed accogliente.
Così, dal Nevada al Great Karoo, dal deserto australiano a quello indiano, dal Perù alla Namibia, sono tante le architetture che popolano i deserti: da quelle che, ispirate ai caratteri materici, cromatici e geomorfologici del sito, sembrano appartenere da sempre al paesaggio (Openstudio Architects, Ro Rockett, Barclay & Crousse Architecture, Nina Maritz Architects), a quelle che rimarcano più decisamente una propria identità di opera “artificiale” (Dunn and Hillam Architects, Kendle Design Collaborative, Sanjay Puri Architects, AGI Architects, Studio OPA’s).
In ogni caso, la protagonista è sempre una sola: una Natura brulicante di vita che, tra rocce e dune, luci abbacinanti e raffiche di vento, penetra incessantemente da scorci mirati, patii e corti interne, terrazze e belvedere, quasi come se neppure nel deserto, in fondo, si fosse mai veramente soli.
Architetture nel deserto: abitare l’inabitabile
Nove abitazioni in alcuni dei territori più proibitivi del pianeta testimoniano il valore della resilienza in architettura, nel rispetto della natura come onnipresente e costante interlocutrice.
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- Chiara Testoni
- 20 settembre 2022
Situata tra i rilievi rossastri dei Monti MacDonnell e il massiccio dell’Uluru (Ayers Rock), questa abitazione - come la descrive il progettista - è « accovacciata dentro il paesaggio, sfruttando la massa termica del terreno per regolare la temperatura interna». Per proteggere la costruzione dalle estreme fluttuazioni termiche della zona, una vasta copertura staccata dal volume fa ombra alla struttura a due piani a forma scatolare, abbondantemente isolata e raccolta attorno ad una corte centrale. Tecnologie passive garantiscono la totale autonomia in termini di produzione energetica.
L’abitazione situata ai margini del Great Karoo è connotata da un volume scarno ed essenziale progettato secondo i criteri del solare passivo che, grazie all’orientamento e al posizionamento delle aperture e insieme allo studio dei flussi di ventilazione incrociata e all’inerzia termica, mirano a garantire il benessere micro-climatico in una zona dalle temperature estreme. Costruita con materiali locali - dai pavimenti in mattoni a vista, alle spesse pareti in intonaco a calce ruvida, ai rivestimenti in piastrelle di ceramica bianca sia per l’interno che per l’esterno - l’opera ha un fascino ruvido che la rende un elemento artificiale perfettamente inserito nel contesto naturale.
Ispirata alle forme spigolose delle montagne circostanti e ai colori del deserto, questa abitazione dalle geometrie ardite e dai colori mimetici si inserisce armonicamente nel paesaggio. Un’articolata copertura a falde sospese e generosamente aggettanti offre protezione dalla luce abbacinante. Gli involucri ruvidi in terra battuta e cemento a vista creano un vivace contrasto con le superfici leggere e traslucide in vetro e acciaio.
Situata nella remota area di Drigg nella valle di Teton, ai piedi delle Montagne Rocciose, la casa è appoggiata su un basamento in roccia in ragione delle caratteristiche geomorfologiche della zona, estremamente umida e spesso soggetta ad allagamenti. Le forme scatolari ed essenziali dei volumi rivestiti in legno conferiscono un carattere piacevolmente ruvido e informale alla costruzione.
Il complesso residenziale composto da 18 appartamenti si inserisce in un intervento di nuova costruzione di oltre quindici ettari ed è concepito per ospitare i lavoratori di un limitrofo impianto di produzione di cemento. Gli alloggi, tutti orientati verso nord, nord-est e nord-ovest in risposta al clima arido della zona, si distribuiscono in volumi a tre livelli tinteggiati con i colori della sabbia desertica (dal bianco al giallo acceso) che distinguono gli spazi abitativi da quelli di distribuzione. Tutti gli appartamenti sono studiati in modo da fruire di ventilazione naturale incrociata, grazie alla disposizione delle finestre a ritmo irregolare, alle logge e alle terrazze.
Progettata per una famiglia che, nonostante il caldo clima kuwaitiano, preferisce trascorrere la maggior parte della vita domestica all’esterno anziché sotto i getti sferzanti dell’aria condizionata, questa casa dai volumi essenziali si articola attorno a tre giardini interni: da quello situato a 4m sotto il livello della strada, che è il luogo più fresco, a quello intermedio, a quello in copertura dove trascorrere piacevolmente le giornate invernali e le sere estive.
Incastonata tra il deserto peruviano e l’oceano, questa casa circondata da un paesaggio “marziano” - come dicono gli architetti – dal clima temperato sembra un’”estrusione” del suolo. Il complesso ad andamento orizzontale è articolato in 4 volumi con altezze diverse che ospitano in sequenza un box per le auto e l’ingresso principale, l’ampio open space per la vita comunitaria e le camere da letto. Nella costruzione sono state adottate tecniche costruttive semplici e a basso costo, dall’uso della pozzolana locale che conferisce una colorazione rossastra ai volumi e crea un dialogo con le rocce adiacenti, al calcestruzzo gettato in casseforme di legno riciclato.
Questa abitazione nel deserto del Nevada è stata voluta dai committenti – una coppia di collezionisti d’arte –da un lato come un’architettura dal linguaggio marcatamente contemporaneo e dall’altro come un omaggio allo spirito di frontiera del West: così è stata ideata questa costruzione su tre piani, dalle forme spigolose e dagli angoli acuti che richiamano il carattere irregolare e tagliente delle rocce locali, completamente rivestita negli involucri esterni da lamiere di zinco e cemento a vista. Ampi squarci vetrati a tutta altezza proiettano lo sguardo verso l’ arido paesaggio esterno
Concepito come un insieme di frammenti di relitti assemblati dai sopravvissuti di un naufragio per ripararsi dal vento implacabile e dal sole cocente del deserto namibiano, questo lodge di lusso con 20 posti letto, a impatto ambientale quasi nullo, è un gradevole rifugio in un paesaggio estremo. Le costruzioni - dall’edificio principale alle singole cabine distribuite lungo i bordi delle dune - sono semplici volumi in legno dal sapore vagamente “nautico” con ampie vetrate o oblò, e dalla forma affusolata per deviare il vento prevalente da sud-ovest.