Il restauro del Moderno non è un tema nuovo, da che ad esempio la Villa Savoye di Le Corbusier come la vediamo oggi la si è ripristinata poco meno di 40 anni fa, a partire dal rudere cui ormai era ridotta. È nuova invece l’attenzione che il tema sta sollevando in Italia, in questo recente periodo di agevolazioni e superbonus, ma anche di ripristini e adeguamenti che stanno orizzontalmente coinvolgendo gran parte del patrimonio edilizio nazionale: la situazione ha già dato del filo da torcere anche al patrimonio moderno, che si tratti di icone (l’edificio INA di Piero Bottoni, il Caccia Dominioni in via Nievo, entrambi a Milano), o di patrimonio ordinario, ancora peggio se privato.
L’Istituto Archeologico Germanico di Roma è un caso di rilievo, è un edificio che nasce nel 1962 quando l’istituzione di antica fondazione, fino ad allora ubicata nelle strutture della comunità ecumenica di via Sardegna, decide di rinnovare la sua sede romana, tra le più antiche ed importanti: il progetto nasce con Annibale Vitellozzi – nome legato ad architetture romane come la Stazione Termini o il Palazzetto dello Sport – Karl Georg Siegler e Enzo Giannini per ospitare, tra le molte risorse, una importante biblioteca archeologica di 1300 riviste e 240.000 volumi, che includono i 5000 della collezione Parthey (filologia classica con edizioni del Seicento e Settecento) e i 6000 del fondo Platneriano di storia delle città italiane.
In anni recenti, esigenze di adeguamento legate all’età e alla prestazione antisismica dell’edificio hanno portato ad un intervento che da subito ha messo i progettisti davanti a temi di grande complessità.
Il team, guidato da Insula architettura e ingegneria, con Wenzel+Wenzel, Bollinger+Grohmann e lGP, ha voluto affrontare un programma di interventi profondi, con ingenti demolizioni come quelle dell’intero corpo scala, secondo il principio di un’architettura che Eugenio Cipollone di Insula, in occasione di una visita al cantiere, ha definito “archeologica”: viene ricercato un compromesso tra una trasformazione a volte anche sostanziale degli spazi e lo spirito originario dell’edificio moderno, il suo carattere.
Il programma d’uso dell’edificio è in parte rinnovato, come mostra l’ingresso adibito a spazio espositivo e collegato alla sala conferenze tramite l’apertura di una nuova scala, intesa come biglietto da visita dell’intervento, oppure l’aggiunta di una foresteria per i borsisti all’ultimo piano. L’affaccio delle balconate sulla doppia altezza della sala conferenze, ora chiuso per ragioni di sicurezza al fuoco, è diventato una tribuna che include le colonne preesistenti in pietra verde, su cui si allineano i busti dei padri dell’archeologia. L’attenzione alla preservazione dei materiali originari è stata molto alta: in parte smontati e ricollocati, là dove invece si è resa necessaria una loro demolizione sono stati reimpiegati, come nei pavimenti alla veneziana ottenuti dalla macinazione dei frammenti dei marmi originari, o dalla loro riduzione in tessere.
La conclusione dei lavori – intrapresi dalla stessa impresa Pasqualucci che in origine aveva costruito l’edificio – è prevista per l’estate, in modo da arrivare alla consegna ed inaugurazione per fine anno, dopo i collaudi di quello che vuole porsi come esempio di restauro del moderno per il periodo contemporaneo.