L’inizio dei lavori di demolizione metteranno fine alla lunga stagione della “La Y Stå!” letteralmente “Lasciate in piedi la Y” e si accompagnano al moltiplicarsi di iniziative di mobilitazione, dibattiti e prese di posizione, per la salvaguardia dell’Y-Blokka. Le recinzioni sono arrivate all’inizo di marzo 2020 e il grande murale della facciata é stato coperto da un telo verde.
Le proteste, i concerti, gli interventi artistici e la raccolte di firme non sono riusciti a salvaguardare lo storico edificio governativo nel centro di Oslo. Resterà ora l’incognita della ricollocazione delle sue grandi reliquie, i murales site-specific, che Pablo Picasso destinò a questo insieme di palazzi brutalisti norvegesi. Dal 1959, ai piani superiori del blocco H e successivamente dalla fine degli anni ‘60, questi magnifici lavori furono riadattati ed eseguiti da Carl Nesjar per la facciata del building Y all’interno di un vasto insieme progettato dall’architetto Erling Viksjø. Un luogo impregnato di qualità moderniste e scultoree, fortemente debitore nel confronto con il quartiere delle Nazioni Unite a New York, ma con una grammatica propria fatta di archi e forme circolari che ricorrono ovunque. Una bellissima “scala conchiglia”, a spirale verso l’alto al centro dell’edificio, illuminata da un lucernario circolare, riecheggia la storica e contigua biblioteca Deichman.
L’imponente Fisherman della facciata e il Seagull dell’ingressso resteranno i simboli di una costruzione osteggiata fin dai suoi inizi e di una Norvegia, oramai da cartolina, tutta fiordi e purezza che non esiste più. Tatuata con la tecnica del naturbeton, la sabbiatura diretta sulla superfice del cemento di questo piccolo gioiello che negli anni é diventato il simbolo di resistenza al nuovo corso architettonico norvegese. Una sfacciata politica culturale, smantella con agilità, assieme al palazzo, i legami con un passato recente che la classe politica norvegese ritiene imbarazzante. L’Y-Blokka, vestigia del welfare scandinavo, é oggi l’ombra di se stesso, come appare nella splendida serie di fotografie e cartoline in bianco e nero di Katja Høst, prodotte e distribuite l’autunno scorso dalla Biennale di Oslo, nei punti nevralgici della città (musei, librerie, hotel).
L’edificio è diventato purtroppo un’ingombrante oggetto totemico che stride con la propulsione immobiliare creata dalla ricchezza del settore petrolifero e finanziario nella Norvegia contemporanea. Una distanza di ordini di grandezza senza l’allucinazione di scala, misurabile nel confronto con il nuovo che avanza. Una sorta di sindrome da Emirati che sembra guidare Statsbygg, l’agenzia immobiliare statale nella sua fretta di voler smantellare. Si é arrivati persino a negare i permessi d’accesso agli esperti d’architettura dei musei cittadini per un ultimo lavoro di documentazione. Nemmeno la crisi e la nuova pandemia del Covid-19 hanno fermato i preparativi per la demolizione. È tornata alla memoria la saga infinita per la costruzione dell’edifico Lambda, il costoso e discusso nuovissimo Museo Munch, reimpiantato dal quartiere popolare di Tøyen e anabolizzato in un’imponente costruzione sul lungomare di Bjørvika.
La retorica di nuovi punti panoramici e il sogno di un pubblico planetario per il nuovo sistema museale di Oslo: anche il Nasjonal Museum si era inventato un’incongruenza di strutture, per abbandonare gli splendidi edifici storici. All’Y Blokka non strutturalmente danneggiato dall’attentato del 22 luglio 2011 a opera del terrorista suprematista di destra norvegese Anders Breivik, la storia ha regalato un destino simbolico. Tuttavia a nulla sono servite le petizioni della Associazione Norvegese degli Architetti, della Scuola di Architettura e Design di Oslo e la mostre organizzate dal museo Henie Onstad sulla Suite 347 di Picasso.
Ogni tentativo di dimostrare che si tratta di un sito ad alto contenuto culturale é fallito. Le incongruenze di questo dossier restano tante, le ragioni di sicurezza degli uffici governativi sicuramente risolvibili e nessuno studio serio per la conservazione é mai stato veramente eseguito. Si sono invocate presunte questione di risparmio, in barba alla sostenibilià ambientale. Pronto ed approvato un progetto da circa due anni, che coinvolge l’esistente e sei nuovi edifici, per un totale di circa 150.000 metri quadrati di sviluppo e fornirà circa 5.700 posti di lavoro. Il design si basa su due piazze urbane e un nuovo parco, con edifici per uffici di cui la parte inferiore integrata nel tessuto urbano esistente. Il team vincitore del progetto ha dichiarato di avere progettato “uno schema senza tempo” che ha il potenziale per migliorare le aree centrali della capitale norvegese.
L’edificio, nonostante la lettera accorata del Moma di New York indirizzata al primo ministro norvegese Erna Solberg e agli altri politici e amministratori coinvolti in questa vicenda, sarà comunque la vittima di un colossale lavoro di rimozione. Un’efficace tempistica immobiliare che regalerà alla città l’ennesima opera senza qualità, sulle note stonate di questo tristissimo requiem.