Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1044, marzo 2020.
Tilburg, nel sud dei Paesi Bassi, da 40 anni si sta emancipando da quell’industria tessile che ha caratterizzato la storia della città. Tuttavia, lo fa riconoscendo il passato e le origini della sua prosperità, sviluppando a beneficio della popolazione un programma tematico collegato a essa.
Per comprendere l’architettura moderna nei Paesi Bassi è necessario cogliere la dualità della posizione geografica del Paese, situato allo stesso tempo sotto e sopra il livello del mare, e della sua componente religiosa, in parte cattolica in parte protestante. In modo apparentemente contraddittorio, l’eredità architettonica del frugale Nord protestante è insieme audace e appariscente rispetto a quella del Sud cattolico, con il suo carattere più funzionale, sobrio e persino archetipico. Ciò è testimoniato dall’espressione e dalla presenza di diversi edifici della Bossche School, tra cui la prima sede dell’Università di Tilburg – già facoltà di Economia – è uno degli esempi più rigorosi realizzato da Jan van der Laan e Jos Bedaux tra il 1957 e il 1962.
Questa peculiare sobrietà si è recentemente espressa anche in una serie di trasformazioni edilizie, nell’ambito delle quali il patrimonio industriale è diventato la cornice ideale per istituzioni culturali come la De Pont Foundation, di Benthem Crouwel Architects, 1989-1992, e il Textile Museum, dello studio Cepezed, 1999-2008.
A questo elenco si è da poco aggiunta la biblioteca LocHal. La struttura originale, un grande capannone industriale costruito nel 1932, è stata sede di un’intensa attività di costruzione e riparazione di carrozze ferroviarie e locomotive fino al 2009, quando è stata dismessa dopo l’introduzione di una nuova rete elettrica. Da allora, l’edificio era rimasto intatto, ma inutilizzato. A differenza di molti altri manufatti industriali nei Paesi Bassi, che sono stati spogliati della loro storia, l’ambiente si presentava integro: per questo, nel 2014 il Comune di Tilburg ha deciso di trasformarlo in uno spazio urbano con cui celebrare la memoria collettiva di un luogo di lavoro noto a molti dei suoi abitanti.
L’esterno è attirato all’interno, mentre l’interno funziona come una piazza aperta.
La struttura è situata nella Spoorzone (“area ferroviaria”) lungo la linea che collega Breda a Eindhoven, nei pressi della stazione di Tilburg e di altri edifici industriali rinnovati, come la Cupola Hall, la Hall of Fame, la Cultural Factory, un teatro e un polo scolastico. È costituita da una doppia navata – due lunghi volumi paralleli di enormi proporzioni – che forma un ampio spazio altamente funzionale in cui le locomotive potevano essere sollevate su carroponti e spostate da una sala all’altra.
Il contesto esistente crea le condizioni per far sì che tutte le necessarie aggiunte strutturali e tecniche dettate dalla sua nuova funzione pubblica rimangano asservite alla solida struttura originale. Tutto ciò che è stato introdotto in questa nuova fase può essere facilmente rimosso e permetterà alle generazioni future di comprendere l’edificio originale.
Numerosi elementi del progetto LocHal sono esemplari, a partire dalla disponibilità e apertura dell’amministrazione locale, che ha richiesto un edificio capace di diventare un’unica grande piazza urbana coperta, uno spazio interno che potesse rappresentare lo spirito della città nel suo insieme. In questo risiede anche la consapevolezza del futuro sviluppo economico. E se in passato la locomotiva rappresentava il principale contributo alla mobilità e alla trasformazione della regione, la città di Tilburg sta ora incentivando un nuovo percorso per la promozione della conoscenza.
Dal punto di vista architettonico, ogni intervento e ogni aggiunta, a prescindere dalla scala, è indipendente dalla struttura esistente. Da questo punto di vista, il progetto di costruzione appare quasi banale, poiché il paesaggio interno travalica l’espressione formale richiesta: non si tratta tanto di come un elemento è risolto, quanto di come svolge la funzione prevista. La richiesta di trasparenza da parte della città, che consente una visione senza ostacoli della struttura, è soddisfatta grazie all’assenza di dettagli ostentati, sebbene ogni singolo elemento sia ben risolto. Ciò fa sì che, nel suo complesso, la composizione irradi una presenza immediata, come se avesse sempre occupato quello spazio; come se i progettisti originali avessero avuto la medesima visione nel 1932. L’imperfezione consente innumerevoli possibilità e la manipolazione strutturale rafforza la sua autenticità. L’attuale struttura di acciaio rivettato e i nuovi inserti materiali – più invisibili che visibili – danno vita a una nuova storia, mentre il suo carattere urbano opera su tutte le scale.
Numerosi elementi supportano l’apprendimento e la condivisione delle conoscenze che l’intervento si è prefissato di favorire. Per cominciare, si tratta di una distribuzione dimensionale da grandi a piccole stanze con un totale di 300 posti di lavoro che vanno dall’anfiteatro collettivo a celle singole. Un ufficio Seats2meet, un tavolo per l’arte con spazio espositivo, un ristorante, aree di lettura, una sala eventi, la biblioteca del Midden-Brabant, un KennisMakerij (“un laboratorio per la creazione di conoscenza”) fanno parte del programma che ricopre la superficie di circa 11.200 m2 dell’edificio.
Mentre lo studio di architettura Braaksma & Roos è responsabile del restauro della struttura esistente, Civic Architects ha ricevuto l’incarico di assemblare tutti i frammenti parziali in un insieme architettonico. I nuovi componenti principali più specifici sono stati sviluppati da Mecanoo in collaborazione con Inside Outside – Petra Blaisse. La biblioteca, progettata da Mecanoo, lontana da tutte le soluzioni classiche, è organizzata come uno spazio aperto, trasparente e disteso, libero dalla sensazione di vigilanza o controllo. Si sviluppa su più piani, mentre tavoli di lettura, aree di studio comuni e spazi singoli s’intrecciano e si accavallano al complesso. Il geniale paesaggio interno di pareti tessili di Petra Blaisse è diventato il riflesso di una città in cui piazze e strade, vicoli e case, oggettivamente chiusi, ma aperti in senso figurato, sono isolati su diversi livelli.
LocHal è il risultato della collaborazione di progettisti e investitori, alla comune ricerca di un metodo per far sì che un edificio faccia una città.
Questa matrice organizzativa crea una suddivisione funzionale e una strutturale, ma richiede anche che altri dispositivi fungano da distributori spaziali. Alcune aree, come gli uffici, rimangono tra pareti chiuse, mentre altre, come quelle pensate per eventi o attività temporanee, possono essere organizzate per mezzo di sei grandi pannelli tessili mobili che consentono di delimitare lo spazio o di lasciarlo completamente aperto. Gli interni, l’architettura e il paesaggio contribuiscono a creare infinite possibilità. Le pareti tessili, realizzate in collaborazione con il Tilburg Textile Museum, non sono semplici tende. La loro materialità varia da opaca a trasparente, in un modo apparentemente contraddittorio, che tuttavia riflette la necessità di essere a proprio agio in un’area chiusa: si possono sentire i suoni delle attività circostanti, senza provare senso d’invadenza o d’isolamento. L’adozione di queste pareti mobili introduce anche una morbidezza all’interno di una struttura rigida. In questo ambiente fortemente urbano è notevole il modo in cui si diffondono calma e tranquillità, invitando al rispetto senza imporre restrizioni.
Il dialogo tra interno ed esterno ma anche con lo spazio intermedio è un tema interessante in tutto l’edificio: l’esterno è attirato all’interno, mentre l’interno funziona come una piazza aperta. Questa intenzione di sfocare i confini è accentuata dall’introduzione di pareti o tessuti mobili. I componenti tecnici richiesti sono nascosti in colonne inglobate nel muro, che rimangono discrete, ma fanno parte di un nuovo ritmo, dando l’impressione di avere sempre fatto parte dello spazio.
Esiste un’interazione deliberata, forse persino una tensione, tra vecchio e nuovo, tra presenza e assenza, tra interno ed esterno, tra l’essere isolati o parte di un incontro più ampio, eppure la quieta atmosfera complessiva facilita la concentrazione e lo studio. Le piante e gli alberi sono introdotti dallo studio paesaggistico Donker Groen che inizialmente ha proposto d’integrare le aree verdi nei carroponti esistenti (un’idea che non poteva essere realizzata poiché il peso avrebbe superato la loro portata). Alla fine hanno scelto di riempire il settore centrale di entrambe le sale. Il contributo di questo grande paesaggio a gradoni, che comprende i vuoti e le pareti mobili, crea un senso di unità visiva, nella quale il muro di verde non agisce da barriera.
C’è un forte dialogo tra i contributi individuali di tutti i diversi team coinvolti, secondo una logica intrinseca. È sorprendente come le singole competenze si mostrino più forti là dove il loro intersecarsi è maggiormente evidente. Il risultato spaziale è una storia di rafforzamento della conoscenza in un’unica entità, in cui quasi nessuna differenza può essere rintracciata tra i singoli interventi o contributi. La sostanza prevale sulla diplomazia, secondo la tradizione dei Paesi Bassi.
È il risultato della collaborazione e del rispetto reciproci di buoni studi di progettazione e investitori intelligenti, alla comune ricerca di un metodo per far sì che un edificio faccia una città. In questo senso, il progetto è un’improvvisazione completamente orchestrata, paragonabile al jazz fusion: tutti i musicisti eseguono le loro improvvisazioni, creando un nuovo tipo di armonia in cui ogni singolo contributo rimane perfettamente distinguibile. Proprio come con Miles Davis, che suonava sia la melodia sia la contromelodia, così la struttura e la controstruttura, il paesaggio e il contropaesaggio rendono omaggio all’esistente e viceversa. E ora i cittadini di Tilburg hanno fatto loro l’edificio, vivendolo come un salotto della città – così come richiesto dal brief originale del Consiglio comunale. Niente di più, niente di meno.
Christian Kieckens è architetto, docente e critico di architettura. Attraverso lo studio che porta il suo nome, con sede a Bruxelles, lavoro su progetti di varia scala, dell’oggetto all’intervento urbano. Ha insegnato in Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito e Francia.