C’è una complessità particolare che si è cristallizzata attorno a Lina Bo Bardi — in questi decenni successivi alla morte, che ne hanno visto la figura esplorata in pressoché tutti i punti ed aspetti della sua cronologia — ed è una complessità che a pensarci bene può riguardare le figure di molti architetti giunti ormai ben oltre la soglia d’entrata nella storiografia. Si tratta di un’impresa, del costruire narrazioni di queste figure che siano capaci di indagarne le angolazioni ancora irrisolte nonostante tutto, e al tempo stesso di non operare su di esse facili appropriazioni teoriche.
Lina Bo Bardi Drawing, aperta a Barcellona presso la Fundació Joan Miró, sceglie la traiettoria dei disegni come percorso d’accesso al sistema relazionale e culturale di un grande personaggio, organizzando per il pubblico al tempo stesso un’esperienza fisica e intellettuale.
Collegandosi all’idea delle costellazioni propria di Miró, il curatore Zeuler Rocha Lima — architetto, ricercatore, artista — ha articolato la mostra in quattro spazi, quattro temi esplorati ciascuno lungo tutto l’arco cronologico del grande architetto: piante (dai suoi primi disegni all’età di nove anni, al giardino verticale per un edificio mai realizzato a San Paolo); persone (per lei le vere protagoniste dell’architettura: non lo spazio, come avrebbe voluto Bruno Zevi. I disegni di persone di Bo Bardi sono sempre animati, l'azione è sempre presente); vedere (dalle prime mosse nell'editoria in Italia all'attività curatoriale in Brasile); vivere (l’architettura, la città, l'arredo: il corpo delle persone abita questa sezione).
Abbiamo potuto incontrare Rocha Lima per un veloce scambio riguardo al progetto e ai principi della mostra.
Il carattere più interessante della mostra è l'operazione che mette in atto, l'esplorazione archivistica di un'intimità; e di conseguenza, la narrazione nuova che può essere fatta di una figura eminente dell'architettura, attraverso il suo approccio personale allo spazio, alla natura, alla società. Come ha preso forma l'idea di una simile interpretazione?
Nell'autunno del 2017 sono stato contattato dalla Fundació Miró per organizzare un'esposizione su Lina Bo Bardi, da che avevo ne appena completata un'altra a Los Angeles, dopo aver studiato la connessione tra lei e Albert Frey per una borsa di ricerca della Getty Foundation. L'idea di raccontare Bo Bardi attraverso i disegni è nata considerando la missione di museo d'arte propria della Fundació Miró, e questa idea ha immediatamente ottenuto una carta bianca curatoriale. Ho potuto allora riunire in una squadra gli USA (Princeton University Press), la Spagna (la Fondazione) e il Brasile (archivi LBB): una selezione prima di 400 poi di 100 disegni è stata fatta, e si è deciso di creare due pubblicazioni differenti a partire dal progetto, un catalogo e una monografia peer review.
I disegni di Lina Bo Bardi sono idiosincratici, non si inquadrano specificamente nel progetto di architettura o nell'arte, è impossibile trovarne un inquadramento logico generale; così l'idea è stata di mostrarne la grande diversità tematica e coprire allo stesso tempo l'intera cronologia della vita dell'architetto. Il primo disegno all'entrata, del 1957, è una potente sintesi in questo senso: quando scoprì Barcellona assieme al marito, lei rimase affascinata dall'approccio alla natura di Gaudì, ne trasse un'attenzione particolare per piante minerali insetti; fu a seguito di quelle scoperte che disegnò la casa di Valeria Cirell proprio come risposta a Bruno Zevi nel loro dibattito sull'architettura organica.
Per tornare propriamente alla mostra, i ponteggi i tendaggi utilizzati nell'allestimento rimandano ai suoi lavori per il teatro, e un'idea generale di coreografia dello spazio anima il concept curatoriale; un soundscape dedicato integra questo concept portando i suoni di persone, natura, strade di Barcellona —la sua cultura, infine — all'interno della mostra.
Esplorando e selezionando i disegni si è potuto apprendere qualcosa di nuovo riguardo a questa dimensione di intimità?
Sono arrivato ad interpretare l'intimità di Lina Bo Bardi come una resistenza alla spettacolarizzazione generalizzata, al sorgere di uno starsystem di cui lei era testimone, specialmente nella seconda metà del ventesimo secolo. Se penso al disegno che lei fa in punto di morte per suo marito, o a quello con cui prende in giro suo cognato come una specie di giraffa, io non vedo alcuna naïveté; vedo anzi una resistenza attiva, qualcosa che riconosco anche nella natura fortemente fenomenologica dei suoi ultimi disegni.
In questo senso la mostra diventa un invito rivolto a tutti i sensi: fronde di eucalipto — qualcosa a lei molto familiare — erano state disposte all'entrata, in apertura dell’esposizione; il corpo così come inteso da Merleau-Ponty è il centro di tutto questo, e lo spazio della Fundació Miró incontra perfettamente questo approccio, bianco e moderno qual è, ma allo stesso tempo domestico e pavimentato in cotto.
La ricerca sui disegni può aiutare a gettare nuova luce sulla connessione tra la dimensione personale di Bo Bardi e le ideologie che lei ha attraversato nella sua vita?
I suoi principi stavano nel dare valore ad una continuità, uno scambio, tra spazio intimo e spazio pubblico; un principio che aveva portato dall'Italia, di politico nel senso di polis, come avrebbe poi articolato nel suo progetto per SESC Pompeia.
La sua traiettoria politica è stata evolutiva: lei non era una persona dogmatica, lei aveva gradualmente raggiunto una maturità politica, una saggezza. Il suo definito posizionamento a sinistra prese realmente forma durante gli anni 60 brasiliani, con l'avvento della dittatura, come una memoria della coscienza sviluppata durante il fascismo italiano. Si posizionò peraltro come comunista anche per rimanere in connessione con il contesto degli intellettuali radicali brasiliani.
Possiamo individuare a partire dai disegni di Lina Bo Bardi una visione, un'interpretazione che lei dà della natura?
Senza voler penetrare la profondità del suo personale disagio (riguardo al quale fortunatamente non abbiamo sufficienti dettagli né documentazione), e tenendo presente la differenza tra la natura così come considerata negli anni 50 e oggi, due aspetti si combinano nella natura secondo Lina Bo Bardi: uno professionale e uno personale.
Il primo era frutto del suo impegno nel mediare tra razionalismo e aspetti domestici dell'architettura, nel rispondere a Bruno Zevi nel loro dibattito sull'architettura organica; la scoperta di Gaudì, la sua reazione ai principi di Frank Lloyd Wright, la portarono verso un approccio figurativo alla natura. Quella fu la sua via per arrivare ad un'architettura organica: una visione bucolica, qualcosa di più vicino alla campagna che al selvaggio, fatta di piante, di insetti e così via, come reazione al rigore delle visioni razionaliste.
Il secondo aspetto stava poi alla base del primo: la visione della natura in quanto natura della campagna era radicata nella sua infanzia, un luogo in cui lei poteva trovare — in opposizione a Roma dove era cresciuta — lo spazio del sogno. La natura nella vicenda personale di Lina Bo Bardi è un mondo romantico, bello e dolce, la campagna che sta a metà strada tra la città e il selvaggio. Il selvaggio stesso nei suoi disegni è qualcosa di controllato, teatrale, addomesticato: in fin dei conti una qualche specie di animale domestico.
Lina Bo Bardi drawing è una mostra anti—black—mirror, una mostra per l'intero corpo, per la chair du monde come la chiamerebbe Merleau-ponty. Tutti i sensi sono presenti, e la mostra invita ad una connessione con la realtà attraverso sensi ed esperienza.
Io vedo anche questo come una connessione diretta alla presenza delle opere di Miró. Il disegno, in sintesi, è osservare, osservare relazioni, e questa è esattamente una esposizione che investiga e mostra le relazioni e la loro profondità.
- Mostra:
- Lina Bo Bardi Drawing
- A cura di:
- Zeuler Rocha Lima
- Luogo:
- Fundació Joan Miró
- Indirizzo:
- Parc de Montjuïc, 08038 Barcelona
- Date d'apertura:
- fino al 26 Maggio 2019
- Pubblicazione:
- Lina Bo Bardi Drawing. Co-edizione pubblicata da Fundació Joan Miró e Princeton University Press