Verso una architettura di Le Corbusier compie 100 anni

Nella Parigi del 1923, un Corbu poco più che trentenne pubblicava il suo libro-manifesto, in cui sognava, tra le altre cose, case costruite in serie come gli aeroplani.

Aldo Rossi ha scritto che ogni grande uomo compie qualcosa d’importante intorno ai trent’anni. Charles-Édouard Jeanneret-Gris ne fece più d’una intorno a quell’età: esperienze formative negli studi di Auguste Perret e Peter Behrens, un Bildungsroman uscito postumo come il Voyage d’Orient, un quartiere modello a Bordeaux (Cité Frugès a Pessac) e soprattutto una rivista memorabile come L’Esprit Nouveau uscita in ventotto numeri fra il 1920 e il 1925, ognuno contrassegnato graficamente da un grande numero colorato in copertina.

In tutto ciò la personalità dell’autore svizzero si è pienamente espressa dividendosi in almeno quattro anime: quella di pittore, di urbanista, di artista decorativo (termine che anticipa quello di designer che arriverà solo negli anni ‘30) e di architetto. A ognuna di queste anime è corrisposto un libro, il primo dei quali è stato Vers une architecture pubblicato esattamente cento anni or sono dall’editore parigino Crès segnando così definitivamente l’adozione del nome leggermente modificato di un suo trisavolo materno che sembra quello di un volatile dalle penne nere: Le Corbusier. Maniacale – fece firmare un contratto capestro all’editore perché non modificasse di un millimetro l’impaginazione dei suoi libri -, Corbu inizialmente era indeciso se intitolarlo L’Architecture nouvelle o Architecture ou révolution

In questo volume Le Corbusier si presentò simultaneamente come storico, critico, scopritore e profeta.

Jean-Louis Cohen

Vers une architecture, Cres, Paris, 1923

In ogni caso il risultato fu epocale. Parigi era allora avvolta da un turbine che, come ha scritto Giovanni Klaus Koenig, è stato “capace di sconvolgere l’intero mondo dell’arte, stretto da tre persone, nessuna delle quali era francese di nascita: Picasso, spagnolo; Le Corbusier, svizzero; Stravinskij, russo”. Il 1923 è stato per questo un anno assai fecondo per i rappel à l’ordre artistici e le rivoluzioni moderniste: qui il romeno Brancusi realizzava la prima versione dell’Uccello nello spazio, gli olandesi Theo van Doesburg e Cornelis van Eesteren progettavano la Maison particuliére, il bielorusso Marc Chagall dipingeva Il violinista verde, Ernest Hemingway pubblicava il suo primo libro Three Stories and Ten Poems e l’altro americano Man Ray dirigeva il suo primo film Le retour à la raison mentre nel teatro degli Champs Elysées Fernand Léger metteva in scena La création du monde su testo di Blaise Cendras, nato a La Chaux-des-Fonds nel 1887 anche lui, mentre ogni sera Josephine Baker ballava il charleston alle Folies Bergère.

L’uomo intelligente, freddo e calmo, ha conquistato le ali. C’è bisogno di uomini intelligenti, freddi e calmi per costruire la casa, per progettare la città.

Le Corbusier

Le Corbusier era spettatore e attore di tutto questo, dal suo libro manifesto tradotto in italiano solo 50 anni dopo (a cura dei due Pierluigi, Cerri e Nicolin, per Longanesi) emerge uno spirito macchinista – condiviso pienamente forse solo da Léger – che lo portava a dedicare la celebre sezione centrale “occhi che non vedono” alle macchine: i piroscafi, gli aeroplani e le automobili. È tuttavia nel paragrafo dedicato agli aerei che scrive “la casa è una macchina per abitare” da cui si evince che sia possibile e anzi auspicabile costruire case in serie come gli aeroplani cioè con intelaiature leggere, putrelle metalliche e sostegni tubolari. “L’uomo intelligente, freddo e calmo, ha conquistato le ali. C’è bisogno di uomini intelligenti, freddi e calmi per costruire la casa, per progettare la città”. 

Come ha notato per primo Reyner Banham, lo stesso accostamento di due templi greci (Paestum e Partenone) con due automobili (Humber 30hp Beeston 1907 e Delage Grand Sport 1921) produceva un contrasto analogo a quello del manifesto futurista pubblicato su Le Figaro nel 1909 tra l’automobile da corsa e la Nike di Samotracia. Dopotutto era stato lo stesso Filippo Tommaso Marinetti a elevare l’aereo a soggetto mitologico-artistico dapprima con Le monoplan du Pape (Paris, Sansot 1912) e poi mettendosi alla testa dell’aeropittura futurista nata verso la metà degli anni Venti, dopo Verso un’architettura.

Le Corbusier continuò a coltivare la sua passione macchinista anche nel decennio successivo pubblicando Aircraft (1935) con lo stesso editore The Studio del suo rivale ideologico, il designer franco-americano Raymond Loewy, The Locomotive: Its Esthetics (1937): la concorrenza fra aeroporti e ferrovie ad alta velocità era appena cominciata.

Immagine di apertura: Le Corbusier, Foto Joop van Bilsen / Anefo

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