Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1061, ottobre 2021.
- Fabrizio Prati:
- Associate director of design, NACTO – Global Designing Cities Initiative
- Gideon Boie:
- Architetto e filosofo - BAVO e KU Leuven
- Ma Yansong:
- Architetto, fondatore di MAD Architects
- Kristian Koreman:
- Architetto, cofondatore di ZUS
Kristian Koreman: Il nostro compito, come architetti, non è solo quello di disegnare luoghi pubblici, ma anche di rendere aperto a tutti lo spazio attraverso diverse forme di attivismo.
La pandemia ha posto nuova enfasi sulla dimensione collettiva e inclusiva delle città, rendendo obsolete le pratiche proprie del real estate . È necessario, quindi, mettere in atto strumenti nuovi, che vadano ben oltre l’ampliamento delle attività commerciali su strada.
Fabrizio Prati: In questo senso, con il Covid-19 spazi dati per scontati, come quello pubblico e, in particolare, le strade sono stati vissuti in modo diverso. Un nuovo apprezzamento è stato riservato a quella che spesso è una parte di un’infrastruttura sociale iper-locale che può ospitare attività necessarie quali, per esempio, l’esercizio fisico e il gioco. Le strade hanno offerto le maggiori opportunità di moltiplicare la vita pubblica.
Nella prima fase della pandemia, poi, è nata l’urgenza di adattare le strade per garantire la mobilità ai lavoratori essenziali. Quando si è presa consapevolezza che la convivenza con il virus sarebbe durata molto più a lungo del previsto, è diventato necessario recuperare spazi esterni, spesso con interventi di urbanistica tattica.
Con il cambiamento delle abitudini rispetto al pendolarismo, anche la relazione con la città e con i suoi quartieri è mutata radicalmente. Oggi, la sfida è come rendere permanenti le trasformazioni inizialmente pensate come temporanee.
Gideon Boie: Se prima del Covid-19, parlando di spazio pubblico, si pensava a un parco o a una piazza, ora questo elemento urbano negletto ha rapidamente conquistato la scena.
Ci si è resi conto che lo spazio pubblico inizia direttamente di fronte agli ingressi delle nostre case e, invece che una responsabilità pubblica, è diventato oggetto della nostra dedizione individuale. Per questo motivo, in Belgio come altrove, è diventato un problema politico: modificare la strada, anche solo con piccoli interventi temporanei, per alcuni significava interferire con la fluidità del traffico veicolare o con il numero dei parcheggi.
Questa discussione per la rinegoziazione e la ridistribuzione dello spazio pubblico rappresenta, nel dramma della pandemia, una grande risorsa. Il mestiere dell’architetto, in questo frangente, rischia di diventare obsoleto se pensato solamente in relazione a un committente. Durante la pandemia, l’urbanistica tattica ha mostrato i progettisti nell’atto di ripensare il proprio ruolo, diventando anche attivisti.
KK: La consapevolezza di poter utilizzare queste superfici urbane, anche temporaneamente, per eventi pubblici e inclusivi ha reso la strada teatro di nuove funzioni, aperte a nuovi tipi di utenti. Anche il lavoro da remoto è stato d’aiuto: chi prima andava sempre in ufficio, ora organizza riunioni all’aperto o svolge alcune mansioni dal caffè sotto casa.
Oggi, poi. i temi del clima e della salubrità dell’ambiente sono percepiti come maggiormente connessi, tant’è che l’atto stesso di piantare un albero in città ha un significato diverso rispetto a prima.
Oggi siamo più consci che l’ombra di una chioma verde mitiga il surriscaldamento del manto stradale, migliorando al tempo stesso la qualità dell’aria. Tutto ciò rientra in una più complessa articolazione dello spazio urbano, parte dello schema della città dei 15 minuti.
Non possiamo più pensare l’uso della strada seguendo le categorie rigide del trasporto, perché i confini fra le azioni sono diventati liquidi.
GBI: Nuovi utenti dello spazio pubblicodella strada non aderiscono a categorie prefissate, e questo è un fatto nuovo, conseguenza della pandemia.
La mobilità ciclistica e pedonale è stata spesso trattata alla stregua di quella automobilistica, come se ci si muovesse solo per andare da un punto a un altro.
Tuttavia, specie durante la pandemia, le azioni del camminare e del pedalare sono diventate sinonimo di esercizio fisico, dell’esplorazione della città o, ancora, di socializzazione. Non possiamo più pensare l’uso della strada seguendo le categorie rigide del trasporto, perché i confini fra le azioni sono diventati liquidi.
Ma Yansong: In questi mesi, tutti abbiamo esplorato con maggiore profondità e curiosità i quartieri e le città che abitiamo.
La qualità dello spazio pubblico che ho apprezzato di più è stata quella spirituale e poetica, che è indipendente dalla dimensione o dalle funzioni di un dato ambiente e si identifica con la possibilità di accogliere situazioni inaspettate.
Le cose più preziose, per me, sono la possibilità e la libertà di inventare, di volta in volta, il modo in cui occupare un luogo. Spesso le nostre città risultano addirittura troppo disegnate e, per questo, costrittive. Quindi la domanda è: come possiamo incorporare l’imprevisto nei nostri progetti?
FP: Al di là dei dibattiti emersi in questi mesi, ho notato che a New York, dove vivo, il cambiamento ha condotto a un’appropriazione più spontanea della strada. In città, mi è capitato spesso di imbattermi in attività nuove e inaspettate come concerti o eventi conviviali di vicinato. Quindi, seguendo il pensiero di Ma, certi binomi, come pubblico-privato o aperto-chiuso, non sono più pertinenti.
Come cittadini e utenti, consideriamo anche più labili i confini fra i vari tipi di spazio pubblico: non identifichiamo più automaticamente la strada con il trasporto e la piazza come luogo di sosta pedonale. È come se questi processi avessero messo in atto la visione dell’appropriazione dello spazio pubblico su cui fantasticavamo da tempo, ma in forma più pragmatica.
Coinvolgere le comunità nel processo può aiutare a implementare la qualità degli esiti progettuali, urbanistici e architettonici, ma anche a incoraggiare l’appropriazione degli spazi. Questo include anche che il modus operandi possa cambiare, procedendo per fasi e prevedendo la reversibilità del progetto.
KK: Ritornando a ciò che diceva Ma Yansong sugli spazi troppo disegnati, è curioso quanta attrazione ci sia verso gli ambienti naturali, che per definizione sono meno progettati di quelli urbani. Questo ha senz’altro nutrito il nostro desiderio di trovare un nuovo modo di coesistere con le altre specie, animali e vegetali, e di gestire le nostre risorse.
Coinvolgere le comunità nel processo può aiutare a implementare la qualità degli esiti progettuali, urbanistici e architettonici, ma anche a incoraggiare l’appropriazione degli spazi.
MY: Concordo: il ripensamento dello spazio pubblico passa, e dovrà passare, per una rinnovata relazione con la natura.
Durante la pandemia mi è capitato di visitare i giardini classici di Souzhou, dove le residenze cinesi tradizionali hanno un grande spazio esterno semipubblico, dando l’impressione che l’elemento artificiale e architettonico si estenda in quello naturale.
Penso che, quando il nostro spazio è limitato e denso, la natura possa costituire un’opportunità di distensione e d’immaginazione.
- Immagine in apertura:
- Illustrazione Anna Sutor