Mortal Engines: il mondo steampunk del film scritto e prodotto da Peter Jackson

Spettacolari città mobili in un pianeta Terra postapocalittico dal libro di Philip Reeve.

Peter Jackson è uno che di science fiction, fantasy, storie immaginifiche e metaforiche, ne sa. Lord of the Rings è una saga epica non solo nella storia tratta dal genio indiscusso e commovente di J.R.R. Tolkien, ma anche nella produzione di proporzioni colossali. Quindi se lo stesso Jackson si lancia in un progetto di science fiction, è giusto essere incuriositi, guardare, toccare con mano. Soprattutto se si tratta di un nuovo adattamento di libro e le co-autrici di Jackson sono sua moglie Fran Walsh e Phylippa Boyens, sceneggiatrici della saga dai libri di Tolkien forti di sette nomination agli Oscar di cui tre vinte. Perciò, eccoci seduti sulle poltrone rosse di un cinema per vedere Mortal Engines (Macchine Mortali), film che intende emulare le orme del grande successo Hunger Games.

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines

Mortal Engines

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines

Mortal Engines, 2018

Mortal Engines

Mortal Engines

Mortal Engines

Mortal Engines

Una delle componenti fondamentali e più accattivanti della science fiction è il contesto, l’arena in cui la vicenda si colloca, un mondo con regole geografiche, politiche, sociali sue proprie in cui, da spettatori o lettori, dobbiamo entrare. L’arena di Mortal Engines è interessante. Attorno all’anno 3.000 il pianeta Terra è sopravvissuto alla guerra dei sessanta minuti – tanto è bastato a distruggere gran parte del mondo con armi a energia quantistica. I continenti si sono schiacciati uno all’altro, il nord America è un deserto radioattivo mentre Europa, Asia, Africa e Oceania sono unite ma separate da un muro, simbolo di ogni lacerante divisione sia nella fantasia che nel nostro mondo reale: a est le città stanziali, a ovest città mobili, che si spostano a caccia di risorse in un mondo impoverito di tutto e in cui vige una sola regola, quella dell’homo homini lupus. La tecnologia è arretrata, anzi scomparsa: si torna al ferro, al carbone, al vapore (da qui l’immaginario steampunk).

Proprio queste città semoventi, in testa a tutte Londra, sono l’aspetto più interessante del film. Sembra di vedere i castelli ambulanti di Miyazaki (Il Castello Ambulante di Howl, La Città Incantata) in formato gigante: città a più livelli a cui corrispondono strati sociali e nuove gilde, città cingolate che corrono per il mondo devastandone il terreno. Anche città aeree (e anche qui vengono in mente le creazioni di Miyazaki ne Il Castello del Cielo), marine o sotterranee dalle forme che richiamano creature del mondo naturale come granchi e lombrichi, in un esito che sa di biodinamismo. Londra in particolare colpisce nel suo essere una sorta di capriccio semovente, in cui elementi arcinoti della città come la metropolitana o St. Paul Cathedral sono rimescolati in forma nuova e in modo eccentrico, a strati, proprio come avveniva nei capricci veneziani del Settecento con gli elementi architettonici della classicità.

Sembra di vedere i castelli ambulanti di Miyazaki in formato gigante: città cingolate che corrono per il mondo devastandone il terreno.

È in questo scenario che si incardina la storia: ragazza porta a compimento una vendetta personale (Hera Hilmar), ragazzo (Robert Sheenan, indimenticabile nella serie tv britannica Misfits) cerca di salvare la pelle, i due insieme finiranno per salvare il mondo quando l’armistizio tra est e ovest cesserà, innamorandosi un po’ – ma il bacio è rinviato all’episodio successivo. Da questo si deduce che non è la vicenda il punto di maggior interesse della pellicola, o per lo meno il modo in cui è stata trasposta per il cinema. Perché l’impressione è che i libri, pur rivolti a un pubblico di young adults dai 10 ai 15 anni, abbiano un cuore di complessità e forse profondità che i 100 milioni di dollari investiti nella produzione del film non sono riusciti a restituire in modo appassionante. Quello che va riconosciuto alla science fiction e ai libri per young adults (spesso le due cose vanno a braccetto ma non sempre) è di mettere sul piatto, in chiave metaforica, temi importanti.

Qui in Mortal Engines la sostenibilità del nostro stile di vita, il risparmio energetico, l’attenzione all’ambiente. Dove andremo a finire se non ci curiamo del nostro pianeta e continuiamo a maltrattarlo, a sfruttarlo? Questa è la domanda che sottostà alla trama ed è una domanda importante, che interpella in modo urgente tutti noi e il nostro mondo, quello reale di oggi. Sorprende constatare che oggi la sostenibilità e l’energia siano i due spettri in grado di minacciare il mondo come fu nel Secondo Dopoguerra la bomba atomica, il cui incubo ha condizionato gran parte della cultura popolare soprattutto giapponese definendo veri e propri filoni narrativi di film e anime, ad esempio le saghe dei robot che in tanti abbiamo amato negli anni Sessanta-Ottanta. La science fiction nelle sue varie diramazioni ha il lodevole merito di sottoporre attraverso i filtri della fantasia e della creatività visiva questioni importanti a un pubblico giovane. Certo, se la pellicola fosse altrettanto coinvolgente, allora sì che potremmo dire: bingo!

L’impressione è che i libri, pur rivolti a un pubblico di young adults, abbiano un cuore di complessità e forse profondità che i 100 milioni di dollari investiti nella produzione del film non sono riusciti a restituire in modo appassionante.
  • Mortal Engines
  • Christian Rivers
  • Avventura epica
  • Universal Pictures, USA
  • 14 dicembre 2018