Quando, nel 2006, furono decisi i lavori per il rinnovo della Camera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a New York, sembrò evidente che a questo iconico gioiello architettonico, si dovesse riservare non solo un lavoro di bonifica e conservazione, ma anche una cura particolare. Impossibile abbandonare il disegno originale per rispettare, dove possibile, i minimi dettagli nella sua ricostruzione. Ogni alterazione avrebbe disintegrato il suo mood anni Cinquanta che è senza dubbio un distillato dell’estetica matura della Guerra Fredda e il frutto di una delicata operazione diplomatica. La Norvegia si vide riassegnare questo compito, dal momento che fu il primo Paese a presiedere il Consiglio di Sicurezza. Fu Trygve Lie ministro degli Affari esteri a commissionare la realizzazione e la decorazione di questa sala.
Può fare sorridere oggi che per i lavori scelse proprio l’architetto Arnstein Arneberg, che nello stesso periodo costruiva il Municipio di Oslo dopo aver realizzato lo chalet di montagna dell’uomo politico. Nel 1952, all’apertura del complesso delle Nazioni Unite coordinato dall’architetto Wallace K. Harrison, il lavoro dell’architetto norvegese passò totalmente inosservato. La stampa specializzata si concentrò sugli accesi dibattiti tra Oscar Niemeyer e Le Corbusier, ma il design del cuore strategico delle Nazioni Unite, era lontano dall’essere raccontato.
Ora, una piccola e documentatissima mostra al museo di architettura di Oslo e un libro di Jørn Holme in collaborazione con il Norwegian Directorate for Cultural Heritage ne ritracciano la storia. Quando venne inaugurata, nell’agosto del 1952, la decorazione apparì spartana e conservatrice e fu considerata molto distrattamente. Ad Arnstein Arneberg toccò persino il ruolo di recensirsi la sua opera in patria, visto che i giornali locali si occuparono più del fatto che l’imponente dipinto della sala era opera del pittore Per Krohg (un allievo di Matisse) e che il tutto fosse un costoso dono alla nazione da parte dell’ONU.
Un giudizio davvero tiepido per un impianto austero e minimale con alle spalle una ben precisa filosofia d’impronta nordica. È più facile oggi riconoscerne le qualità come un esempio precoce di esportazione dell’estetica scandinava oltreoceano. Tuttavia, proprio perché inserito in un punto sensibile dell’enclave modernista delle Nazioni Unite, il lavoro di Arneberg e del suo gruppo non ebbe un vero riscontro fino ai restauri recenti per eliminare l’amianto dalle strutture. Poche le modifiche al progetto originario per uno dei luoghi più familiari delle Nazioni Unite, che gode di fama planetaria. L’enorme tavolo a ferro di cavallo e il dipinto dai toni epici alle sue spalle sono entrati attraverso gli schermi televisivi nell’immaginario collettivo e con echi cinematografici evidenti in tutte le successive “stanze di crisi”. Arneberg, che non supervisionò costantemente i lavori alle Nazioni Unite, coinvolse, come in una copia carbone il team con il quale stava già lavorando a Oslo: il noto pittore Per Krohg (per il grande quadro di fondo) e la designer Else Poulsson, nipote dell’architetto Magnus Poulsson, per la decorazione parietale. Porte, sedie, ringhiere di ferro, materiali tessili e marmi furono realizzati e spediti dalla Norvegia a New York, facendo lievitare sensibilmente il costo. Si cercò comunque di lavorare al risparmio, l’impiego di marmo sulla parete est fu ridotto e le strutture che non poterono essere prodotte in acciaio furono semplicemente dipinte.
Quando tra il 2010 vedi e il 2013 partirono i lavori di ristrutturazione, l’intera Camera del Consiglio fu smantellata e riassemblata. Decenni di nicotina e polvere furono rimossi dal dipinto di Krohg, ma anche dai muri longitudinali. Il damasco originale di seta blu con i motivi giallo-oro che simbolizzano l’ancora della fede, la spiga di grano e il cuore della carità fu sostituito con una versione in rayon. La nuova tappezzeria è estremamente fedele all’originale e nuovamente prodotta dalla stessa industria tessile. Sottoposta a un primo trattamento ignifugo, già negli anni Cinquanta con risultati deludenti, finì per restringersi. Le sedute non sono più aperte al pubblico dopo gli attentati alle Torri gemelle nel 2001, ma alla sala si accede ancora attraverso la stessa imponente porta in legno di frassino, costruita da Håkon Wollan per un’immersione in uno spazio di riflessione dalle qualità atemporali. Nelle parole di Arneberg quella che è oramai conosciuta come “The Norway Room” doveva infatti rappresentare la cultura e l’arte di un Paese con un carattere talmente neutro da poter sfidare la prova del tempo.
La posterità sembra avergli dato ragione, se si pensa che la sola cosa che è davvero invecchiata in questo luogo è l’iconografia del grande affresco di fondo: troppo centrata sull’ideologia prebellica con personaggi a dominanza caucasica e ancorata nel ricordo di una situazione inattuale. Nel luogo che dovrebbe ricordare i pericoli del rimanere bloccati nel passato, svetta un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri. Arnstein Arneberg ha regalato alle persone che si succederanno al lavoro intorno al suo enorme tavolo per il Consiglio di Sicurezza uno spazio ancora funzionale che sopravvive al tempo ed è decisamente proiettato nel futuro.
- Titolo mostra:
- The Security Council Chamber
- Date di apertura:
- Fino al 28 settembre 2018
- Luogo:
- Nasjonalmuseet
- Indirizzo:
- Bankplassen 3, Oslo