Fare domande, prendere decisioni
Essenzialmente la questione del governo della città finisce sempre con il trovare risposta nella composizione di forze e d’interessi molteplici, se non addirittura completamente divergenti. Gli abitanti della città hanno comunque un peso nel dar forma all’esperienza urbana, anche se si limita al potere di dar fuoco ai cassonetti, prendere l’autobus, raccogliere o buttare cartacce, guidare un tuktuk (l’Ape taxi popolare in Asia) o dare un qualsiasi contributo all’ambiente in cui vivono. Altri attori sono i governi nazionali e regionali, e le varie agenzie da essi controllate. Governi locali che di solito intrattengono rapporti quanto mai diretti e accessibili con i loro amministrati. Come ha detto Joan Clos, responsabile di UN Habitat, “i governi locali hanno la prossimità necessaria a tradurre i principi del buon governo urbano nell’efficacia concreta della gestione, del governo e dello sviluppo di una città, e nella garanzia di un’equa accessibilità alla condizione di cittadino”. Tra gli altri gruppi influenti ci sono gli investitori, gli immobiliaristi che acquistano terreni, le società che ci costruiscono sopra e li urbanizzano, le ONG che tutelano specifiche situazioni e risorse non negoziabili: un bailamme di voci discordanti che esprimono richieste differenti sull’ambiente da tutte inevitabilmente condiviso. La vera politica urbanistica riguarda perciò la difficoltà di trovare un accordo tra i vari interessi e la necessità di una mediazione. Ma la strategia di governo non riguarda solo l’espressione delle richieste: significa prendere decisioni. Il buon governo della città richiede partecipazione, capacità di guida e capacità di previsione in funzione delle scelte da prendere.
Occasioni per il progetto
Data l’esistenza di una varietà di attori, di interessi e di leader coinvolti nel processo di formazione dell’ambiente urbano, costruire il futuro e rispondere alle esigenze della società spetta ai progettisti, agli urbanisti oppure ai politici? Nelle scienze sociali c’è un ruolo per la pianificazione spaziale, ma c’è anche un chiaro ruolo per i politici nella progettazione. Per Karen C. Seto l’espansione verticale e orizzontale senza precedenti della città ha creato spazio per nuove soluzioni progettuali. Le nuove strategie spesso offrono delle occasioni e aprono la strada a nuove soluzioni progettuali che non erano state previste dai burocrati e dai politici. Secondo il sindaco di Lagos Babatunde Fashola l’introduzione dell’illuminazione stradale notturna in alcune comunità intendeva favorire la riduzione dei costi dell’autogenerazione dell’energia elettrica da parte dei piccoli esercizi. Ma la conseguenza è stata che gli esercizi potevano restare aperti più a lungo, dalle 6 del mattino alle 11 di sera, con un incremento dei ricavi che è andato dal 38 al 52 per cento.
Rottura
La rottura è venuta dalla tecnologia, dal deciso afflusso di capitali, oppure da un disastro ambientale, con città più complicate, sempre più fragili e vulnerabili alla rottura. C’è stato perciò ampio accordo sul fatto che la limitazione del rischio sia un aspetto ineliminabile del governo della città. Siedermann ha trattato del progetto dell’incertezza urbana, modo cruciale per far fronte agli aspetti imprevedibili della vita della città: in altre parole l’incertezza non si può eliminare attraverso il rinvio, è fonte di occasioni e non può essere risolta indefinitamente come un problema tecnico. Secondo Richard Sennett, dato che la trasformazione non si svolge in modo lineare, è comunque episodica. Quindi l’incertezza crea un problema di pianificazione con cui una politica democratica deve fare i conti. All’indomani di un disastro entrano in gioco forme più reazionarie di governo e di progetto. Secondo Sue Parnell la possibilità di un disastro ambientale ha rivitalizzato il ruolo dell’amministrazione pubblica dopo decenni di adattamenti strutturali, in funzione della gestione dei rischi e della limitazione degli effetti traumatici.
L’intervento attivo e l’Urban Age Award
La natura episodica e incalcolabile del cambiamento induce anche individui e gruppi a farsi parte attiva, prendendo l’iniziativa nella gestione delle crisi. Uno dei momenti più importanti delle giornate del convegno, il premio Urban Age della Deutscher Bank, ha attribuito un riconoscimento alla formidabile capacità d’intervento e alle iniziative di alcuni di questi gruppi attualmente attivi a Delhi. Il National Institute of Urban Affairs Delhi, la Alfred Herrhausen Society della Deutsche Bank e LSE Cities hanno assegnato un premio di 100.000 dollari americani a due affermate iniziative comunitarie che si sforzano di migliorare lo spazio urbano e la vita degli abitanti: la Chintan Material Recovery Facility, che gestisce le tonnellate di spazzatura indifferenziata che si crea ogni giorno sui treni, e Goonj, un’organizzazione che seleziona i rifiuti delle case della borghesia per realizzare prodotti di seconda mano. I vincitori sono i migliori esempi di risposta autonoma, un’unione di interessi e di competenze che dà una risposta adattabile e contestuale a un impellente problema della città.
Il valore del conflitto
Alcuni dei dibattiti che si sono sviluppati nelle tavole rotonde e tra il pubblico hanno portato alla ribalta il ruolo cruciale e catalizzatore del conflitto. Il conflitto non è qualcosa di evitare, ma un effetto ineliminabile del dare la parola a tutti gli interessati. Secondo Charles Correa, in realtà, il confronto e il raggiungimento di un risultato attraverso la trattativa sono il succo stesso della democrazia. Enrique Peñalosa – che nei tre anni in cui è stato sindaco di Bogotá ha introdotto una serie di riforme urbanistiche, tra cui 300 chilometri di piste ciclabili – ha affermato di aver passato moltissimo tempo in varie forme di trattativa con gruppi di interessi e cittadini delle classi agiate, anche se nemmeno coloro che avrebbero tratto beneficio dalle riforme se ne accorgevano.
Trauma, orrore, cambiamento climatico
Naturalmente il problema della capacità di iniziativa del singolo individuo appare sproporzionato di fronte a questioni come il cambiamento climatico, che si presenta chiaramente al di là delle possibilità di controllo delle amministrazioni locali e perfino dei governi nazionali. Secondo Philipp Rode e Priya Shankar il cambiamento climatico costituisce una “minaccia esistenziale” per tutte le città. Le amministrazioni cittadine non sono in grado di modificare le priorità internazionali nella stessa misura dei governi nazionali, ma sono costrette a rispondere al cambiamento in prima linea, dalla minaccia all’agricoltura costituita da siccità e alluvioni ai tifoni e ad altri eventi meteorologici. Le città non sono più concorrenti autosufficienti, i rischi del cambiamento climatico ci legano ai nostri vicini anche contro la nostra volontà. Secondo Richard Sennett “dobbiamo accettare il male in arrivo e imparare a conviverci”. Ma secondo Sassen questa apertura non porterà alla libertà assoluta: non stiamo avviandoci a un mondo senza frontiere, regolato solo dai flussi transnazionali di beni, servizi e forza lavoro – afferma – ma stiamo creando frontiere di nuovo genere, “che sono trasversali e invalicabili”.