Rafael A. Balboa e Ilze Paklone: Il progetto è situato in un contesto molto ben definito, dove la tradizione medioevale e lo stile di vita medio europeo coesistono. Qual è stata la tua risposta a questa condizione urbana?
Kengo Kuma: Il sito rappresenta una specie di confine, di bordo della città vecchia di Aix-en-Provence. Il progetto si basa su una tipologia caratteristica della città vecchia: il contenitore traforato da finestre. Abbiamo ritenuto che questa tipologia progettuale fosse adeguata alla destinazione a conservatorio di musica, compresa la sala da concerto da 500 posti e vari altri servizi. D’altra parte l’edificio si affaccia sull’esterno della città. In risposta all’ambiente naturale che lo circonda abbiamo cercato di trovare le ragioni del progetto nella natura circostante. Le ho trovate nella Montagne Sainte-Victoire, il monte di Paul Cézanne. Il pittore viveva a Aix-en-Provence e ha lasciato parecchi dipinti che hanno per soggetto la Sainte-Victoire. Cézanne scopriva, nella ripetizione delle ombre delle increspature naturali del monte, dei ritmi e una geometria. Il progetto si ispira anche alle geometrie di Cézanne. Abbiamo anche pensato che il ritmo delle linee e il traforo delle finestre richiamassero le note musicali.
Rafael A. Balboa e Ilze Paklone: Il tuo studio lavora a livello internazionale e attualmente stai progettando molto, non solo in Giappone ma anche all’estero. Che differenza trovi quando affronti questo tipo di progetti, come in questo caso in Francia?
Kengo Kuma: In ogni progetto cerco di scoprire il senso del luogo. Non viene dalla città preesistente, che di per sé ripete i parallelepipedi degli edifici tradizionali. In ciascuna cultura cerco di scoprire le caratteristiche essenziali del luogo e degli edifici. In questo senso non siamo architetti tradizionali, che studiano solo la superficie degli edifici. Ad Aix-en-Provence la cosa più importante è l’ambiente. La Montagne Sainte-Victoire è probabilmente l’altura più bella della zona. L’essenza del luogo qui sta nella bellezza della luce e dell’ombra, e nel senso del ritmo. Qui abbiamo trovato anche uno stabilimento per la produzione dell’alluminio. L’alluminio è il materiale migliore per progettare un bell’effetto di luce ed ombra.
Rafael A. Balboa e Ilze Paklone: Nell’architettura tradizionale giapponese non esiste come in Europa una cultura del monumento. In questo caso leggiamo che l’edificio ha un’impostazione più monumentale di altri progetti. Alla luce del tuo manifesto dell’Anti-oggetto come collochi, a questo punto, il tuo metodo e la tua architettura?
Kengo Kuma: Forse in questo edificio si può trovare una certa monumentalità, ma contemporaneamente non si tratta di un monumento autonomo. Definisce il limite della città. In Giappone il ruolo dell’edificio è quello di una specie di confine, che delimita l’interno e l’esterno. Solo i templi e i santuari funzionano come monumenti. L’edificio come confine è un concetto profondamente giapponese. Il santuario di Ise è un esempio tipico di kairō (il corridoio coperto che segna il limite dell’area sacra del tempio buddhista), con tre livelli di kairō che definiscono lo spazio. La configurazione a L del nostro edificio definisce una corte e la protegge dalla città. L’edificio diventa una specie di confine, che definisce il luogo. È un esempio di kairō a forma di L.
Rafael A. Balboa e Ilze Paklone: Tra la cultura giapponese e quella francese ci sono da lungo tempo reciproche attrazioni e risonanze. Da architetto giapponese che costruisce in Francia, quali concetti e quali valori giapponesi hai trasferito in questo edificio? C’è magari una particolare tecnica che hai voluto adottare?
Kengo Kuma: Protagonista di questo progetto è l’oscurità assoluta dell’ombra. La forma non è poi così importante. È una cosa molto giapponese. Per Junichiro Tanizaki (Libro d’ombra) l’ombra è l’elemento principale del progetto, e io ho progettato l’ombra. L’ombra poi invita le persone a entrare, dentro la sala da concerto. La cosa più difficile è stata piegare i pannelli d’alluminio spessi 4 millimetri. Abbiamo cercato di ridurre al minimo il giunto. Se il giunto si vede l’ombra non è più protagonista.