Rafael A. Balboa, Ilze Paklone: Hai iniziato la carriera circa dodici anni fa con un manifesto estremamente radicale (Futuro primitivo). Da allora il tuo modo di pensare si è notevolmente evoluto in termini di esperienza spaziale e di complessità. Avresti mai pensato di arrivare a progettare il padiglione del Serpentine di Londra? Non hai paura di fare il passo più lungo della gamba?
Sou Fujimoto: Le situazioni nuove, che non riesco a controllare, non mi fanno paura. Mi divertono. Se lo studio si ingrandisce, tutto va fuori controllo e la qualità dell’architettura si abbassa. Capisco che devo ben rendermene conto. Mi piace farmi coinvolgere in situazioni davvero pazzesche. Il padiglione del Serpentine è davvero una bella sfida. Non è solo una grande occasione, è anche un grosso rischio. C’è di tutto. Mi piace vivere tutto quanto contemporaneamente.
Sto lavorando anche ad alcuni grandi progetti in Cina. È un’altra sfida, Si stenta a controllare la qualità finale delle proposte. Ci si trova di fronte a culture diverse, a situazioni diverse. E di certo grazie a queste sfide imparo qualcosa e mi tengo aggiornato. La qualità finale e il controllo del progetto in architettura sono il punto più importante. Sto facendo del mio meglio per essere all’altezza.
Domus: In progetti precedenti come la casa NA hai già compiuto sperimentazioni con strutture semplicissime e leggere, come quelle che ritornano nella palizzata simile a una nuvola del padiglione della Serpentine Gallery. I tuoi progetti tendono a seguire certi filoni e certi concetti specifici. Qual è in questo momento il tuo interesse particolare?
Sou Fujimoto: Il padiglione della Serpentine è un misto di cultura strutturale giapponese e della mia modesta esperienza personale. Il mio primissimo progetto concettuale Gradini di 35 centimetri (Futuro primitivo) si è trasformato nell’Ultima Casa di Legno. In questo progetto esprimevo il mio interesse per il modo in cui l’architettura si mette in rapporto con il comportamento dell’uomo e con il suo corpo. Ambiguità e coesistenza di architettura e natura sono un filone tradizionalmente forte della cultura giapponese. È per me un motivo di ispirazione continua, particolarmente in un contesto della bellezza dei Kensington Gardens di Londra. È una sfida a creare qualcosa di artificiale ma che contemporaneamente quasi sfumi nella natura. È al limite tra ordine artificiale e natura, e di quando in quando sconfina nell’uno e nell’altra. L’ambiguità è una bella occasione di sfida.
Talvolta è molto interessante reinventare l’architettura. L’architettura non significa più un’area circondata da muri. Certe volte un muro si può sostituire con strati di parete o con cornici. Nell’Ultima Casa di Legno la parete non è più una parete, il tetto non sembra un tetto e il pavimento viene ridefinito per funzioni diverse. Forse da queste prime opere alla casa NA, nel lungo cammino per arrivare a oggi, abbiamo elaborato l’architettura come spazio in sé, non definito dagli oggetti. Una nuova prospettiva dell’architettura va verso una nuova definizione della vita. Mi piace pensare all’architettura non solo come a un manufatto, ma come a qualcosa che ospita una vita nuova.
Il nostro costante interesse per l’architettura significa anche riflettere sul fondamentale rapporto tra interno ed esterno. Per esempio, in base alla caratteristiche senza paragone del sito di casa K, abbiamo pensato che non fosse una buona idea limitarsi ad aprirlo allo spazio circostante, come nel caso di casa N. Il committente voleva una casa più simile a un ambiente in cui vivere. È diventata un piccolo paesaggio misterioso senza soluzione di continuità tra casa e giardino. Il tetto a falde fonde tridimensionalmente interno ed esterno. Crea una specie di circolarità tra esterno e interno.
Quando conoscemmo il committente e visitammo il sito, vennero a maturazione certe idee che aggiornavano il nostro interesse a un livello differente. Non ho tanto le idee chiare in fatto di stile formale o di metodo, quanto invece un flusso continuo a livello di base. L’aspetto cambia secondo la situazione. Anche in Giappone ogni sito è diverso dall’altro. Ogni volta realizziamo qualcosa di nuovo, di simile per certi versi ai progetti precedenti ma differente per altri. È una sfida continua. È il mio metodo.
Domus: Per arrivare a una ridefinizione spesso devi dimenticare o rinnegare delle realtà precostituite. Probabilmente stai ancora sfruttando molte idee dei tuoi manifesti precedenti, perché in qualche modo ridefinivano molti concetti spaziali cui sei tuttora interessato. È corretto dire che nel processo creativo inizi a cannibalizzare te stesso?
Sou Fujimoto: Non si tratta solo di dimenticare tutto, Ritornare al punto zero è solo un punto di partenza. La storia non è immutabile. Le cose del passato, osservate da nuovi punti di vista, possono acquistare significati nuovi. Certe volte tornare alla storia e acquisire una conoscenza nuova della tradizione è un’innovazione molto interessante. Non mi preoccupa perdermi in un mondo senza definizioni. Possediamo tutta la ricchezza della storia dell’architettura e della vita dell’uomo. Non manca mai di darci un suggerimento, un’ispirazione per ridefinire che cosa sia l’architettura o che cosa sia la vita. Possiamo solo continuare questa grande storia. Se contribuiamo a costruirne un pezzetto, va benissimo così.
Domus: Oggigiorno tutto cambia radicalmente: crisi economiche e trasformazioni del capitale (che si traducono anche in migrazione del lavoro per gli architetti). Qualcuna di queste situazioni ha costituito uno stimolo per il tuo lavoro?
Sou Fujimoto: Non so che cosa stia accadendo. Ma essere in una situazione così imprevedibile mi piace. Se fosse stabile, sarebbe anche noiosa. Se l’economia va bene, è facile fare sciocchezze. La crisi dell’economia talvolta crea maggiori sfide e architettura migliore. Ai buoni committenti, in Giappone, oggi piacciono le cose essenziali.
Oggi l’economia giapponese non è florida, ma la Cina e Taiwan vanno molto bene. Abbiamo contemporaneamente situazioni differenti. Da un lato c’è un’economia alquanto in difficoltà, ma ai committenti le soluzioni di qualità piacciono ancora. Dall’altro lato l’economia va bene e si realizzano delle gran pazzie. Abbiamo sotto gli occhi entrambe le cose. E vediamo anche come in Europa sia tuttora viva una storia lunga e profonda. Dobbiamo avere una mentalità più aperta. Mi pare che sia un gran bel momento.