Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 969 / maggio 2013
La fortuna aiuta gli audaci
La nostra prima visita alla Nakagin Capsule Tower di Kisho Kurokawa l’abbiamo fatta in veste di architetti/turisti. Lungo il cammino, però, ci siamo persi, finendo per arrivarci di sera. Il primo impatto è stato decisamente singolare, come se davanti a noi ci fosse stato un amico di vecchia data: è curioso, infatti, vedere per la prima volta un edificio di cui pensi di sapere tutto.
C’era una sola capsula con la luce accesa, il che ci ha fatto uno strano effetto. Siamo entrati nell’atrio, ma il portiere ci ha messo sbrigativamente alla porta. “Niente visite! Niente fotografie!”: sono le uniche due frasi che siamo riusciti a capire. Mentre venivamo riaccompagnati in strada, per caso è arrivato un signore giapponese sulla cinquantina, che ha cominciato a farci domande in un inglese quasi perfetto—“Come mai così tanta gente trova questo edificio tanto interessante? Perché siete qui?”. Presi alla sprovvista, abbiamo semplicemente detto la verità: “Siamo architetti, ci siamo appena trasferiti a Tokyo e ammiriamo molto questa costruzione. Ci piacerebbe viverci”.
Kenzo-san si è messo a ridere, ci ha dato il suo biglietto da visita e ha detto che, forse, poteva darci una mano. Dopo pochi giorni, siamo andati a vivere nella Nakagin Capsule Tower. Kenzo-san, infatti, ha il suo ufficio in una delle capsule e un’altra è di proprietà di un suo amico. Abbiamo incontrato il nostro futuro padrone di casa e ci è parso felice di vedere qualcuno tanto entusiasta dell’edificio così com’era.
Ci ha raccontato che, quando era più giovane, aveva sognato di abitarci, di aver letto tutto quello che era stato scritto sulla sua architettura e sui metabolisti e di essere, infine, riuscito ad acquistare un’unità. Dopo averci abitato per parecchi anni, si era sposato e aveva traslocato in periferia. Era molto contento che qualcuno credesse ancora nella Nakagin Capsule Tower e ci volesse vivere. Il giorno in cui ci siamo trasferiti lì, congedandosi dopo averci dato le chiavi, ha pronunciato una frase che non dimenticheremo: “È probabile che siate le ultime persone a vivere nel Metabolismo!”.
Vivere il sogno metabolista
Ogni volta che incontriamo un architetto e diamo il nostro indirizzo, la reazione è invariabilmente la stessa: “Com’è vivere nella capsula?” è la prima domanda. Poi arrivano le solite valutazioni scettiche sulla superficie calpestabile, seguite dalla curiosità riguardo all’affitto. E mentre si loda il nostro coraggio (e, ancora di più, la nostra fortuna), rispondiamo sempre allo stesso modo: “È diverso da ciò a cui eravamo abituati”.
All’interno, lo spazio non sembra in realtà così piccolo. E, onestamente, la cosa non pare importante per la nostra esistenza quotidiana: la capsula svolge perfettamente la sua funzione moderna di “macchina per abitare” e noi, come coppia—il che in teoria rende l’esperienza ancora più estrema—, riusciamo a condurre una vita normale. Siamo felici di abitarci. Preferiamo un piccolo spazio nel centro di Tokyo a una casa grande in periferia. La nostra routine quotidiana ci costringe a uscire ogni mattina e a ritornarci solo a tarda sera: così ci sentiamo dei normali e felici esemplari di quel “nomadismo contemporaneo” di cui ha scritto Kurokawa. Tuttavia, ci pare ancora di vivere in qualcosa che sta tra un albergo e un esperimento scientifico.
La finestra è circolare e, in uno spazio del genere, appare enorme. La nostra stanza guarda a ovest e s’affaccia sugli edifici circostanti e sull’incrocio di Shimbashi, che di notte è pieno di luci. Il telaio della finestra è fisso, per evitare incidenti, e ciò non consente la ventilazione naturale dell’interno. Negli anni Settanta, tutti i serramenti avevano un ventaglio circolare che controllava la quantità di luce in entrata, un particolare di cui oggi rimane solo il supporto di metallo al centro della finestra. Di conseguenza, e nonostante siano state montate delle tende blu, ogni mattina alle sei la capsula è inondata di luce. All’inizio, dormire è stato un problema, ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine.
Tutte le pareti sono in contatto con l’esterno e l’isolamento non è dei migliori. Il risultato è semplice: fa molto caldo d’estate e molto freddo d’inverno. Il progetto originale prevede un imponente sistema di aerazione integrato. Il comando a manopola ha tre funzioni— ‘ventilatore’, ‘basso’ e ‘alto’—, ma la temperatura dell’aria non può essere controllata in quanto il sistema è centralizzato. Le condutture sono danneggiate in molti punti e i residenti parlano di possibili contaminazioni. Anche se usiamo una stufetta elettrica e la capsula è calda quando andiamo a letto, durante la notte il calore si dissipa velocemente.
Il televisore non è quello originale, anche se ha le stesse dimensioni. La radio è rotta, mentre gli unici pulsanti che funzionano nel “pannello di controllo” comandano i due punti luce della stanza: una grande lampada centrale e una piccola per leggere. Il frigorifero è ridotto e stretto, come un minibar, ma molto utile. Il congelatore non è sigillato e fa da unità refrigerante. Siamo fortunati che funzioni, perché collocare un frigorifero standard in questo spazio avrebbe potuto essere un vero e proprio incubo.
Concepita per l’uomo del futuro, con una vita molto impegnata e poco tempo per cucinare, la capsula non ha né cucina né elettrodomestici, perciò siamo stati costretti a comprare un piccolo bollitore e un fornello elettrico. A volte cuciniamo, ma, com’è ovvio, non è facile, specialmente se siamo tutti e due a casa. Dopo alcuni esperimenti, le cose hanno cominciato ad andare meglio: abbiamo scoperto che l’aspiratore del bagno è così potente da eliminare l’odore dall’intera stanza e che il tavolo può funzionare contemporaneamente come piano di lavoro. Il segreto, quindi, sta tutto nell’organizzazione (come per quasi tutto quello che facciamo nella capsula).
Il segreto, quindi, sta tutto nell’organizzazione (come per quasi tutto quello che facciamo nella capsula)
Non appena finiamo di cucinare, laviamo i piatti nel lavandino del bagno e li riponiamo immediatamente. Durante la notte, sentiamo solo il ronzio del vecchio frigorifero. Se abbiamo voglia di mangiare qualcosa prima di andare a letto e non ci va di cucinare, nel piano della portineria c’è sempre un negozio di alimentari aperto 24 ore su 24. Il letto ha rappresentato un ostacolo.
Non riuscivamo a trovare un materasso di dimensioni adeguate alla stanza e ci serviva anche dello spazio per riporre le nostre valige. Avevamo un problema, ma potevamo anche accedere al laboratorio di falegnameria dell’Università di Tokyo; abbiamo, allora, acquistato del materiale e ci siamo costruiti un letto su misura. Con un po’ di filosofia “fai da te” abbiamo ottenuto un risultato soddisfacente, aggiungendo anche qualche contenitore sul lato accessibile del letto. Sopra, abbiamo messo un materasso ad aria, che ci sta alla perfezione.
Il bagno è organizzato in modo inappuntabile. Le pareti, fatte di plastica lavabile, trasformano questo ambiente in una capsula dentro la capsula. Durante una visita ad alcune unità disabitate, abbiamo constatato l’avanzato stato di degrado degli arredi, a differenza dei sanitari. Dato che si tratta di uno spazio interno senza finestre, la porta ha un vetro smerigliato, a sua volta rotondo, che consente alla luce naturale di penetrare all’interno.
Nonostante sia piccolo, contiene una vasca e non una doccia, il che è tipico della cultura giapponese. Il gabinetto, il lavandino e la vasca sono ricavati da un unico pezzo di plastica che ospita le tre funzioni, organizzando lo spazio. Il dosatore del sapone, la lampada, il portasciugamani e alcune piccole mensole sono posizionati con accortezza sulla parete, per evitare la necessità di un armadietto. Vicino al lavandino, c’è una presa di corrente, protetta dall’acqua da un coperchietto di metallo a vite. Per azionare lo sciacquone, basta premere un pulsante. Non vediamo quasi mai i vicini e, in questi mesi, non abbiamo mai incrociato nessuno in ascensore. Dalle altre capsule non esce alcun rumore e, a volte, abbiamo l’impressione che nell’edificio non abiti nessun altro.
Situazione attuale
Ogni volta che usciamo e guardiamo la terrazza del nono piano, in attesa dell’ascensore, ci torna in mente il terremoto. Lo scorso dicembre, infatti, Tokyo ha tremato e la torre ha subito delle scosse violente. L’edificio non è attrezzato per sopportare terremoti di forte intensità, ma oggi, a 40 anni dalla sua costruzione, questi eventi sono ormai considerati normali.
Veniamo da una nazione in cui non c’è attività sismica e per noi vedere le cellule sbattere l’una contro l’altra è stata un’esperienza spaventosa. Ci siamo precipitati verso le scale in cemento, che sembravano un luogo più sicuro, e mentre correvamo giù abbiamo incontrato alcuni vicini che si comportavano come se niente fosse. In Giappone, un terremoto è ormai un fatto di routine. Un paio di giorni dopo, la torre è stata coperta con una rete, “per precauzione” e “solo per qualche giorno”, per impedire la possibile caduta di calcinacci sul marciapiede. Magari ci sbagliamo, ma qualcosa ci dice che quella rete non verrà più tolta.
Nella torre abitano, forse, dieci o quindici persone. La costruzione è, perlopiù, abbandonata
Anche se è conosciuto col nome di Nakagin Capsule Tower, l’edificio è, in realtà, composto da due torri gemelle. Al centro di ciascuna c’è il vano dell’ascensore e delle scale che salgono a spirale. A ogni pianerottolo ci sono due, tre porte, perché in realtà ci sono molti ‘livelli’, ma non piani normali. Nella torre A ci sono 78 unità e nella B 62. La numerazione è semplice: noi abitiamo nella capsula B807—ossia torre B, ottavo piano, porta numero 7. Nelle capsule e nei corridoi rimangono ovunque segni degli abitanti precedenti. Nel nostro caso, le tracce più evidenti sono la strana carta da parati, la moquette che copre i punti più deteriorati del pavimento originale e il condizionatore, per collocare il quale è stato necessario forare il muro.
Nell’ufficio di Kenzo-san non rimane nulla dell’arredo originale, salvo il bagno, e l’intero spazio è pieno di pezzi di modernariato. Due porte più in là, un vicino ha rivestito tutte le pareti con scaffalature metalliche, trasformando l’unità in un magazzino. I moduli, per la maggior parte, sono utilizzati per scopi diversi dall’abitare. Vicino alle scale lo spazio interno cresce gradualmente, il che è utile per custodire biciclette, scatoloni, scarpe, spazzatura e via dicendo. Le capsule sono sprovviste di acqua calda. Per fare un bagno caldo potevamo scegliere di installare uno scaldabagno; oppure usare le docce comuni al pianterreno.
Come gran parte dei residenti, abbiano optato per la seconda soluzione e usiamo le docce di fronte alla strada. Ogni giorno, dobbiamo programmare l’orario della doccia, ma, essendoci pochi inquilini, la cosa non rappresenta un problema. A causa del deterioramento degli impianti, qualche anno fa sono state installate delle nuove tubazioni. Il lavoro, però, è stato fatto in modo pessimo, tanto che le porte delle capsule sono state tagliate per far passare i tubi. Un po’ dappertutto si osserva come, ogni qualvolta si è resa necessaria una riparazione, la struttura originaria non è mai stata rispettata. Tutte le soluzioni sono dei rattoppi.
Nella torre abitano, forse, dieci o quindici persone. La costruzione è, perlopiù, abbandonata. Alcune unità sono state ‘sigillate’ con teli di plastica, altre non hanno nemmeno la serratura. Entrando, le si trova spesso in un avanzato stato di degrado: pareti a pezzi, mensole rotte, muffa e umidità. All’esterno, dalle scale antincendio, è possibile osservare il tetto danneggiato e le infiltrazioni un po’ ovunque. Il pianterreno e il livello occupato dagli uffici funzionano normalmente e sono in buone condizioni, mentre le capsule stanno lentamente marcendo. Il portiere stacca a mezzanotte e ritorna alle sei. Il portone rimane aperto tutta la notte. Tokyo è così sicura che l’edificio ha bisogno di essere protetto solo dai molti turisti che vogliono visitarlo.
Fino a quando il portiere non ha cominciato a riconoscerci, ha continuato a rincorrerci verso l’ascensore dicendo che non potevamo entrare. Siamo stati costretti a mostrargli il contratto d’affitto una decina di volte, per dimostrargli il contrario. Ogni giorno, quando usciamo, c’è qualcuno davanti all’ingresso. Dozzine di turisti, soprattutto architetti, se ne stanno sull’altro lato della strada a scattare fotografie e molti tentano di entrare, come noi qualche mese fa. Spesso, quando qualcuno nota che stiamo uscendo, veniamo avvicinati. All’inizio, eravamo contenti quando accadeva e abbiamo anche mostrato la nostra capsula ad alcuni visitatori, ma con il passare dei mesi la cosa è diventata così frequente da farci capire perché il portinaio abbia voluto mandarci via la sera che siamo arrivati.
Passato/presente/futuro
Parliamo spesso con Kenzo-san. Ci dice che alcuni tra gli abitanti superstiti parlano della demolizione della Nakagin Capsule Tower come se fosse imminente. Alcuni citano date precise, altri rimangono sul vago, ma l’idea che la costruzione abbia ormai vita breve aleggia nell’aria.
Ogni giorno, circolano nuove voci. Ciò nonostante, qualche giorno fa, abbiamo incontrano un ragazzo giapponese che ha comprato cinque cellule e le sta restaurando da solo, nel suo tempo libero. In mezzo a così tante unità abbandonate, qualcuno ancora crede nel futuro dell’edificio. Il contrasto tra i diversi approcci degli abitanti riflette un futuro incerto.
Nel 2007, la demolizione ha rischiato di farsi realtà. Il progetto è stato approvato e, mentre i proprietari si dividevano tra favorevoli e contrari, una petizione pubblica sostenuta dall’Istituto giapponese degli architetti è riuscita a salvare l’edificio. Di fronte al pericolo della demolizione, Kurokawa ha proposto una soluzione ovvia: “Perché non sostituire le vecchie capsule con nuove unità? Questa è sempre stata la mia idea…”. La proposta, tuttavia, non è passata. Da allora sono trascorsi sei anni e permane l’incertezza riguardo al suo futuro.
Il contrasto tra i diversi approcci degli abitanti riflette un futuro incerto
Giunta al suo quarantesimo anno di vita, la torre, a suo tempo un’icona modernista, è oggi vista come obsoleta, se non come una cattiva idea. Malgrado tutto, l’aggiornamento suggerito dall’architetto potrebbe, forse, riportare al presente l’idea che ne ha sostenuto il programma all’inizio: i concetti di demolizione e rinnovamento erano parte integrale dell’ideologia metabolista ed è ironico che ci sia una tale polemica riguardo all’abbattimento, al rinnovamento e all’attuale stato di degrado. Tokyo è mutata dagli anni Settanta. All’epoca, la torre sorgeva solitaria, ma nel tempo è stata circondata da altre di altezza simile. Di fronte, la superstrada, un tempo affollata dai veicoli, è stata chiusa al traffico. Sul lato opposto della strada, negli anni Novanta sono stati costruiti numerosi grattacieli, che schermano il sole a sud. Il negozio di alimentari non è più lo stesso.
L’amore della città per la Nakagin Capsule Tower è andato scemando e la demolizione è legata anche alla prospettiva di trarre profitto dalla vendita del suo costoso terreno, che rientra nella zona elegante di Ginza.
La materializzazione più tangibile del Metabolismo è stata assorbita dalla routine, si sta sgretolando ed è pronta per essere gettata nei rifiuti. Filipe Magalhães, Ana Luisa Soares, architects, www.falaatelier.com